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Refezione scolastica Anzio. Arriva il Tfr.

Servizio mensa - Flaica Lazio

La Coop. Solidarietà e Lavoro si è piegata, dopo aver sostenuto che il pagamento del TFR ai lavoratori della refezione scolastica era condizionato dal comune di Anzio che non pagava le fatture.  I nostri assistiti hanno presentato il decreto ingiuntivo e la società ha dovuto assolvere ai suoi impegni.  il-verbale-di-accordo

Pensione di reversibilità. Nuovi stimoli al matrimonio ed alle unioni civili.

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Pensione di reversibilità anche al coniuge, indipendentemente dalla differenza di età. Ovviamente riguarda anche le unioni civili, che hanno avuto  riconosciuto lo stesso diritto con la recente legge sulla stabile convivenza.

In pratica, si apre la caccia al pensionato benestante, che può assicurare una vita intera a carico dello Stato, anche ad un badante diciottenne….

Sarà il motivo per cui la pensione di reversibilità avrà i giorni contati?

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 174 depositata il 14 luglio 2016, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111.

La norma dichiarata illegittima limitava l’ammontare della pensione di reversibilità quando il coniuge scomparso aveva contratto matrimonio a un’età superiore ai settant’anni e il coniuge superstite era più giovane di almeno vent’anni.

La Corte, richiamandosi alla propria costante giurisprudenza, elaborata nel corso degli anni in tema di analoghe norme restrittive, ha ritenuto irragionevole una limitazione del trattamento previdenziale, connessa al mero dato dell’età avanzata del coniuge e della differenza di età tra i coniugi.
La Corte ha ribadito che ogni limitazione del diritto alla pensione di reversibilità deve rispettare i princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza e il principio di solidarietà, che è alla base del trattamento previdenziale in esame, e non deve interferire con le scelte di vita dei singoli, espressione di libertà fondamentali.

In particolare la sentenza ritiene inaccettabili le limitazioni basate su un dato meramente naturalistico quale l’età per incidere su un istituto – la pensione di reversibilità – fondato sul vincolo di solidarietà che si stabilisce nella famiglia.

Le limitazioni introdotte dalla norma – ora dichiarata incostituzionale – si collegano alla presunzione che i matrimoni contratti da chi abbia più di settant’anni con una persona di vent’anni più giovane traggano origine dall’intento di frodare le ragioni dell’erario, in assenza di figli minori, studenti o inabili.

Questa presunzione di frode alla legge è connotata in termini assoluti; in tal modo preclude ogni prova contraria. Anche nell’assolutezza di questa presunzione si coglie l’intrinseca irragionevolezza della disposizione impugnata, che enfatizza la patologia del fenomeno, partendo dal presupposto di una genesi immancabilmente fraudolenta del matrimonio tardivo.

Si tratta, a ben vedere, di un presupposto di valore, sotteso anche a precedenti discipline restrittive, fortemente dissonante rispetto all’evoluzione del costume sociale. Il non trascurabile cambiamento di abitudini e propensioni collegate a scelte personali, indipendenti dall’età, emerge anche dalla precedente giurisprudenza della Corte Costituzionale. La piena libertà di determinare la propria vita affettiva ben si collega all’allungamento dell’aspettativa di vita.

L’ordinamento configura la pensione di reversibilità come una forma di tutela previdenziale, uno strumento necessario per il perseguimento dell’interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno. Come la stessa Corte Costituzionale ha chiarito nella sua giurisprudenza, essa risponde all’esigenza di garantire quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento di diritti civili e politici (art. 3, secondo comma, della Costituzione) con una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore, di un trattamento preferenziale (art. 38, secondo comma, della Costituzione) rispetto alla generalità dei cittadini (art. 38, primo comma, della Costituzione).

In virtù di tale connotazione previdenziale, il trattamento di reversibilità si colloca nell’alveo degli articoli 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Carta fondamentale, che prescrivono l’adeguatezza della pensione quale retribuzione differita e l’idoneità della stessa a garantire un’esistenza libera e dignitosa.

La Corte ha ritenuto che la norma dichiarata incostituzionale abbia irragionevolmente sacrificato i diritti previdenziali del coniuge superstite.

C.I.G. Ordinaria. Nuovi criteri.

L’Inps, con il  messaggio n. 2908 del 1° luglio 2016, fornisce le prime istruzione operative concernenti le modalità di presentazione delle domande e di avvio dell’istruttoria per l’approvazione dei programmi di cassa integrazione salariale ordinaria (Cigo).

 Il nuovo procedimento di concessione

I caratteri principali della riforma del procedimento di concessione possono essere così riassunti:

  • competenza esclusiva delle sedi INPS riguardo la concessione della prestazione con la corrispondente soppressione delle Commissioni provinciali CIGO;
  • l’individuazione di criteri univoci e standardizzati per la valutazione delle domande;
  • obbligo a carico delle aziende richiedenti di una relazione tecnica dettagliata, resa come dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, che fornisca gli elementi probatori indispensabili per la concessione;
  • facoltà in capo all’INPS di un supplemento istruttorio con richiesta di integrazione della documentazione ai fini procedimentali.

I criteri fissati dal D.M. 95442 derivano dalle categorie generali già delineate dall’articolo 11, D.Lgs. 148 del 2015, cioè da situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali, ed a situazioni temporanee di mercato.

Le Aziende, quindi, potranno ricorrere alle integrazioni salariali ordinarie per i motivi definiti nelle causali del decreto ministeriale, corredate dai requisiti probatori ritenuti indispensabili per ciascuna di esse.

Le integrazioni salariali ordinarie erano e rimangono un istituto invocabile per crisi di breve durata e di natura transitoria.

In proposito, si precisa che il D.M. n. 95442 introduce un importante elemento obbligatorio necessario all’istruttoria della domanda.

In base all’art. 2 del citato decreto l’Azienda, ai fini della concessione della CIGO, deve allegare alla domanda una relazione tecnica dettagliata, resa come dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell’articolo 47 del Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, recante le ragioni che hanno determinato la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa nell’unità produttiva interessata dimostrando, sulla base di elementi oggettivi attendibili, che la stessa continui ad operare sul mercato.

La relazione tecnica dettagliata deve essere sottoscritta dal legale rappresentante dell’azienda o da suo delegato e inviata telematicamente.

L’Inps rappresenta che in base alla circolare n. 47 del 27 marzo 2012, per effetto dell’art. 16, c. 8, del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, per le istanze di prestazioni per le quali sia prevista l’esclusiva presentazione attraverso il canale telematico, gli atti e la documentazione da allegare dovranno essere trasmessi soltanto mediante analoghi sistemi. Si segnala infine, che in base all’art. 76 del D.p.R. n. 445/2000, le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi dell’art. 47 del citato D.p.R. sono considerate come fatte a pubblico ufficiale con ogni conseguenza di legge per dichiarazioni mendaci.

Anche le richieste di proroga della domanda originaria deve essere accompagnata dalla relazione tecnica obbligatoria, poiché sono considerate comunque domande distinte e per la loro concessione devono essere presenti gli elementi probatori che manifestino il perdurare delle ragioni di integrazione presentate nella prima istanza.

Inoltre, come supporto probatorio eventuale, previsto espressamente nel decreto, l’azienda ha facoltà di supportare gli elementi oggettivi già contenuti ed elencati nella relazione obbligatoria, con ulteriore documentazione da allegare relativa, per esempio, alla solidità finanziaria dell’impresa o a report concernenti la situazione temporanea di crisi del settore, oppure alle nuove acquisizioni di ordini o alla partecipazione qualificata a gare di appalto, all’analisi delle ciclicità delle crisi e la CIGO già concessa. Per alcune casuali il decreto ministeriale prevede che alcuni attestati o documenti tecnici, come i bollettini meteo, siano obbligatoriamente allegati alle domande.

L’Istituto richiama l’attenzione sulla necessità che il provvedimento di concessione o di reiezione totale o parziale della CIGO debba contenere una congrua motivazione, che menzioni gli elementi documentali e di fatto presi in considerazione e le ragioni del convincimento che hanno determinato l’INPS all’adozione del provvedimento, anche in relazione alla prevedibilità ex ante della ripresa dell’attività.

Nel procedimento di concessione, accanto alla relazione obbligatoria e alla facoltà in capo alle aziende di presentare ulteriore documentazione in allegato, viene prevista dal decreto ministeriale, in caso di non sufficienza degli elementi probatori esibiti dall’azienda, la facoltà in capo alla Sede territoriale competente di avviare una specifica richiesta di integrazione di dati e/o notizie. Infatti, l’art. 11 del sopra citato decreto stabilisce che l’INPS può richiedere all’azienda di fornire gli elementi necessari al completamento dell’istruttoria e può sentire le organizzazioni sindacali di cui all’art. 14 D.lgs 148/2015.

Le suddette comunicazioni con le aziende dovranno avvenire tramite PEC o cassetto bidirezionale. La mancata risposta a tali richieste entro 15 giorni costituirà un ulteriore indice di valutazione da evidenziare nella stesura della motivazione del provvedimento di reiezione.

All’esito dell’istruttoria, in caso di accoglimento della domanda, l’erogazione della prestazione avverrà, secondo le modalità già descritte al punto 1.7 della circolare 197 del 2015.

Al fine di fornire un supporto indicativo sul contenuto che dovrebbe avere la relazione tecnica dettagliata resa ai sensi dell’articolo 47 del Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si allegano i fac-simile della relazione relativi alle diverse causali previste (all. 2-10).

I nuovi codici evento CIGO, relativi ai nuovi criteri fissati dal decreto ministeriale, sono riportati nello schema riepilogativo in allegato (all. 11).

Decorrenza

Con l’entrata in vigore delle disposizioni contenute nel predetto Decreto ministeriale 95442 del 2016, anche in analogia al dettato normativo di cui all’articolo 44, comma 1 del d. lgs. 148 del 2015, le domande di concessione di CIGO presentate dal quindicesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del decreto in G.U., dovranno essere istruite e decise in applicazione della nuova disciplina.

Quindi, la nuova disciplina si applica alle domande presentate dal 29 giugno 2016.

Per le domande presentate dal 29 giugno u.s. non corredate dalla relazione tecnica, obbligatoria nelle forme previste dal decreto ministeriale citato, le aziende dovranno procedere all’integrazione documentale.

Per le domande presentate prima del 29 giugno, le Strutture territorialmente competenti, in sede di istruttoria, continuano ad osservare i criteri di esame ed a chiedere l’esibizione della documentazione di corredo come nelle prassi amministrative presenti con il precedente procedimento concessorio, gestito dalle Commissioni Provinciali, come già espressamente indicato nella circolare n. 7 del 2016.

Allegati:

  • Allegato N.1 – Decreto ministeriale n. 95442 del 15 aprile 2016
  • Allegato N.2 – Fac-simile Relazione tecnica causale mancanza di lavoro/commesse
  • Allegato N.3 – Fac-simile Relazione tecnica causale crisi di mercato
  • Allegato N.4 – Fac-simile Relazione tecnica causale fine cantiere/lavoro-fine fase lavorativa
  • Allegato N.5 – Fac-simile Relazione tecnica causale perizia di variante e suppletiva al progetto
  • Allegato N.6 – Fac-simile Relazione tecnica causale sciopero di un reparto o di altra azienda
  • Allegato N.7 – Fac-simile Relazione tecnica causale mancanza di materie prime o componenti
  • Allegato N.8 – Fac-simile Relazione tecnica causale incendi/alluvioni/sisma/crolli/mancanza energia elettrica/impraticabilità dei locali anche per ordine di pubblica autorità/sospensione-riduzione dell’attività per ordine di pubblica autorità
  • Allegato N.9 – Fac-simile Relazione tecnica causale guasti macchinari e manutenzione straordinaria
  • Allegato N.10 – Fac-simile Relazione tecnica causale eventi metereologici
  • Allegato N.11 – Tabella nuovi codici evento

Dimissioni telematiche. Il socio lavoratore deve prima dimettersi dalla Cooperativa.

Premesso che tra il socio lavoratore e la società cooperativa si instaurano due distinti rapporti giuridici, quello associativo e quello di lavoro; il primo è regolato dalle relative norme del codice civile, il secondo dalle norme afferenti al rapporto di lavoro, tra cui la L. n. 142 del 2001 finalizzata a tutelare la posizione del socio lavoratore.  Vista l’intima connessione dei due rapporti, la previsione di cui al secondo comma dell’art. 5 della legge n. 142/2001 va intesa nel senso che, in seguito al recesso da socio, il lavoratore dovrà effettuare la trasmissione telematica delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali.

Min.Lavoro: dimissioni online – le faq aggiornate al 6 luglio

Per avere una visione completa dell’argomento, è il caso di rivedere tutte le FAQ pubblicate, insieme alla circolare n. 12/2016 e alle risposte che il Ministero del Lavoro ha fornito ai consulenti del lavoro.

 TUTTE LE RISPOSTE A QUESITI IN MATERIA DI DIMISSIONI ONLINE

1. Quali categorie di lavoratori non dovranno utilizzare la procedura per presentare le proprie dimissioni o risoluzione consensuale?

Il Decreto Legislativo n.151/2015 esclude i lavoratori domestici, le risoluzioni consensuali raggiunte tramite accordi di conciliazione in sede stragiudiziale. Sono poi esclusi i genitori lavoratori nelle ipotesi indicate nell’articolo 55, comma 4 del Decreto Legislativo n.151/2001 che prevedono la convalida presso gli Uffici territoriali competenti. La circolare n.12/2016 specifica inoltre che non dovrà essere utilizzata la procedura nei casi di recesso durante il periodo di prova e per i rapporti di lavoro marittimo.

2. La procedura dovrà essere utilizzata solo dai lavoratori del settore privato?

Sì, come indicato al punto 1.2 della circolare n.12/2016, la procedura non si applica ai rapporti di lavoro del pubblico impiego.

3. Anche le lavoratrici che hanno pubblicato la data del loro matrimonio per cui vige il divieto di licenziamento devono effettuare la procedura?

Sì, anche in questo caso, dovrà essere compilato il modello telematico per presentare le proprie dimissioni o effettuare la risoluzione consensuale.

4. La procedura dovrà essere utilizzata dai collaboratori coordinati e continuativi nei casi di recesso anticipato?

No, la procedura si applica ai rapporti di lavoro subordinato, così come indicato al punto 1.1 della circolare n.12/2016.

5. L’interruzione anticipata del tirocinio prevede l’applicazione della procedura per le dimissioni volontarie?

No, perché il tirocinio non si configura come un rapporto di lavoro subordinato.

6. Dovranno utilizzare la procedura anche i lavoratori che presentano le proprie dimissioni per il raggiungimento dei requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia o anticipata?

Sì.

7. Nell’ipotesi di dimissioni presentate in data antecedente al 12 marzo 2016 ma la cui cessazione avvenga successivamente, per effetto della decorrenza del preavviso, è necessario utilizzare la procedura?

No. Il DM 15 dicembre 2015 disciplina le modalità di comunicazione delle dimissioni al momento in cui si manifesta la volontà e non già la data di decorrenza. Pertanto se le dimissioni sono state presentate prima del 12 marzo 2016 trova applicazione la normativa di cui alla legge n. 92/2012.

8. Devo presentare le dimissioni o la risoluzione consensuale, come accedo alla procedura telematica in qualità di cittadino?

È necessario essere in possesso del PIN INPS dispositivo.

9. A chi devo rivolgermi per ottenere il PIN INPS dispositivo?

Il PIN dispositivo è rilasciato dall’INPS  e potrà essere richiesto online sul sito www.inps.it o recandosi presso una delle sedi territoriali dell’Istituto.

10. Non conosco l’indirizzo PEC del datore di lavoro, cosa devo inserire?

È possibile inserire come recapito email anche una casella di posta non certificata.

11. È necessario possedere il PIN INPS dispositivo e la firma digitale anche se si presentano le dimissioni – o la risoluzione consensuale – attraverso un soggetto abilitato?

No.

12. Posso rivolgermi solo ad un soggetto abilitato presente nel mio luogo di residenza?

No, l’assistenza di un soggetto abilitato potrà essere richiesta sull’intero territorio nazionale, indipendentemente dalla propria residenza o sede lavorativa.

13. Il modello è disponibile anche in altre lingue?

Sì, è disponibile anche una versione del modello telematico in lingua tedesca, secondo quanto previsto dallo Statuto della Provincia Autonoma di Bolzano.

14. Sono un soggetto abilitato come devo accedere alla procedura?

Sarà necessario registrarsi su Cliclavoro con il profilo di “Operatore” per ottenere le credenziali di accesso.

15. Sono un consulente del lavoro, posso essere abilitato?

No, l’art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015 non prevede che il singolo professionista possa ritenersi abilitato alla trasmissione dei modelli di dimissione o risoluzione consensuale del rapporto. Sono abilitate le Commissioni di certificazione istituite presso i consigli provinciali dei consulenti del lavoro ai sensi dell’articolo 76, comma 1 lett c-ter) del D.lgs. 276/2003.

16. I lavoratori con contratto a tempo determinato che intendano dimettersi dovranno usare la nuova procedura?

Sì, come indicato al punto 1.1 della circolare n. 12/2016 le dimissioni da rapporto di lavoro a tempo determinato rientrano nel campo di applicazione della nuova procedura.

17. La procedura influisce sul periodo di preavviso da parte del lavoratore?

No. Come indicato nella circolare n.12/2016, la procedura online non incide sull’obbligo di preavviso in capo al lavoratore e non modifica la disciplina del rapporto e della sua risoluzione. Pertanto restano ferme le disposizioni di legge o contrattuali in materia di preavviso.

18. Qual è la data di decorrenza da indicare nella compilazione del modello telematico?

La data di decorrenza delle dimissioni è quella a partire dalla quale, decorso il periodo di preavviso, il rapporto di lavoro cessa. Pertanto la data da indicare sarà quella del giorno successivo all’ultimo giorno di lavoro.

19. Per gli esodi volontari effettuati a seguito di accordo sindacale aziendale e realizzati anche attraverso il Fondo di Solidarietà di categoria, la nuova procedura deve essere applicata?

La nuova procedura non trova applicazione se le risoluzioni consensuali sono state raggiunte tramite accordi di conciliazione in sede stragiudiziale (cd. Sedi “protette”), secondo quanto previsto dal comma 7 dell’articolo 26 del Decreto Legislativo n.151/2016.

20. Il modulo telematico ha la funzione di convalidare delle dimissioni già presentate con altra forma o quella di comunicare la volontà di dimettersi?

Il modello telematico non ha la funzione di convalidare dimissioni rese in altra forma bensì introduce la “forma tipica” delle stesse che per essere efficaci devono essere presentate secondo le modalità introdotte dall’articolo 26 del Decreto Legislativo n.151/2016.

21. Nel caso in cui, dopo l’invio della comunicazione, il lavoratore si ammali durante il periodo di preavviso e il datore di lavoro deve rinviare la chiusura del rapporto di lavoro, come si può comunicare la nuova data se sono trascorsi i 7 giorni utili per revocare le dimissioni e variare la data di cessazione?

In questo caso il lavoratore non deve revocare le dimissioni già comunicate perché la malattia non incide sulla sua manifestazione di volontà. Sarà cura del datore di lavoro indicare l’effettiva data di cessazione nel momento di invio della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro. L’eventuale discordanza tra la data di cessazione comunicata dal lavoratore e quella indicata dal datore di lavoro è del resto comprovata dallo stato di malattia del primo.

22. Nell’ipotesi in cui il lavoratore e il datore di lavoro si accordino per modificare il periodo di preavviso, spostando quindi la data di decorrenza indicata nel modello telematico, come si può comunicare la nuova data se sono trascorsi i 7 giorni utili per revocare le dimissioni e variare la data di cessazione?

Come indicato nella circolare n.12/2016, la procedura online non incide sulle disposizioni relative al preavviso lasciando quindi alle parti la libertà di raggiungere degli accordi modificativi che spostino la data di decorrenza delle dimissioni o della risoluzione consensuale. Sarà cura del datore di lavoro indicare l’effettiva data di cessazione nel momento di invio della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro, senza che il lavoratore revochi le dimissioni trasmesse telematicamente.

23. Se la data di decorrenza è stata inserita dal lavoratore calcolando erroneamente il preavviso e sono trascorsi i 7 giorni utili per revocare le dimissioni, come può essere comunicata la data di cessazione esatta?

La procedura telematica introdotta dall’articolo26 del D.lgs.151/20015 e dal DM del 15 dicembre 2015 interviene sulle modalità di manifestazione della volontà, la quale non viene inficiata da un eventuale errore di calcolo o di imputazione. In questa ipotesi, la Comunicazione obbligatoria di cessazione, da effettuare secondo le vigenti disposizioni normative, fornisce l’informazione esatta sull’effettiva estinzione del rapporto di lavoro.

24. Le aziende come possono visualizzare le comunicazioni relative alle dimissioni volontarie o alle risoluzioni consensuali dei propri dipendenti?

Accedendo alla propria Area riservata del portale Cliclavoro, le aziende possono ricercare le comunicazioni nella sezione “Dimissioni volontarie”.

25. I soggetti abilitati sono responsabili dell’accertamento dell’identità del lavoratore che richiede la trasmissione del modello telematico?

Sì, come specificato nell’allegato B del DM 15 dicembre 2015. I soggetti abilitati dovranno quindi adottare tutte le misure idonee all’accertamento dell’identità del lavoratore che si reca presso le loro sedi per accedere alla procedura telematica.

26. Le Commissioni di certificazione costituite presso le DTL in che modo possono assistere il lavoratore nella trasmissione del modello telematico?

Come chiarito nella Nota direttoriale del 24 marzo 2016, la procedura può essere esercitata direttamente dal Direttore della DTL, in qualità di Presidente della Commissione, anche per il tramite del personale appositamente incaricato.

27.Le dimissioni possono essere presentate anche rivolgendosi alle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile. Tale disposizione, a sua volta, rinvia tra gli altri all’articolo 411 C.P.C. che individua, testualmente, la “sede sindacale”. Cosa si intende esattamente per “sede sindacale”?

Tale espressione indica, di prassi, l’ipotesi in cui il lavoratore pone in essere determinati atti con l’assistenza di un sindacalista di sua fiducia. È quindi sufficiente che la formalizzazione delle dimissioni o della risoluzione consensuale avvenga alla presenza di un sindacalista, in quanto la stessa costituisce garanzia circa la spontaneità e la consapevolezza dell’atto.

28. In caso d’invio di dimissioni telematiche errate perché non rientranti nel campo di applicazione dell’articolo 26 del D.lgs.151/2015, quelle telematiche vanno revocate?

No, in questo caso non è necessaria la revoca.

29. Se la data di decorrenza delle dimissioni coincide con il sabato o un giorno festivo, quale giorno andrà inserito?

La nuova modalità telematica di trasmissione delle dimissioni non ha innovato la disciplina giuridica che regola il rapporto di lavoro, ma solo la modalità di tale trasmissione. Se il contratto collettivo o individuale applicato non dispone nulla in proposito, il conteggio dei giorni comprende giorni consecutivi e quindi il primo giorno non lavorato può coincidere con un giorno festivo.

30. I lavoratori assunti presso una società privata a totale partecipazione pubblica dovranno effettuare la procedura?

Sì, in quanto la procedura deve essere effettuata con riferimento ai rapporti di lavoro privati, come ha specificato la circolare n.12/2016, a prescindere dalla natura del datore di lavoro.

31. Per i rapporti di lavoro domestico in somministrazione si applica la nuova procedura?

Il rapporto di lavoro in questa ipotesi intercorre tra l’agenzia di somministrazione ed il lavoratore. La procedura telematica deve essere quindi seguita dal lavoratore in somministrazione, in quanto tale rapporto non rientra tra le fattispecie escluse, di cui all’art. 26, comma 7, D.lgs. 151/2015 e riprese dalla circolare n. 12 del 4 marzo 2016.

32. La comunicazione obbligatoria di cessazione è valida anche se il lavoratore non ha proceduto con l’invio del modello telematico relativo alle proprie dimissioni o alla risoluzione consensuale?

La comunicazione obbligatoria di cessazione è inefficace se non è stata preceduta da una comunicazione del lavoratore resa con le modalità telematiche di cui al DM 15 dicembre 2015.

33. Se il lavoratore rassegna le proprie dimissioni e, nonostante i solleciti, non compila la prevista procedura online, il datore di lavoro come si deve comportare?

Le dimissioni vanno rassegnate esclusivamente con il modello introdotto dal DM 15 dicembre 2015. Diversamente il datore di lavoro dovrà rescindere il rapporto di lavoro.

34. Sono tenuti ad adottare la procedura on line anche il direttore generale e l’amministratore delegato di un’azienda con la quale sussiste un rapporto di lavoro subordinato?

Sì.

35. Quali conseguenze ha il rapporto di lavoro nel caso in cui un lavoratore, oppure il sistema in automatico, compili in modo errato l’indirizzo email del datore di lavoro?

Il datore di lavoro ha a disposizione sulla sua pagina personale tutte le comunicazioni di competenza. A partire dal 1° aprile 2016 è stato attivato uno specifico servizio che notifica al lavoratore il mancato recapito, invitandolo a modificare l’indirizzo email errato (o sconosciuto).

36. Se le parti si accordano di revocare le dimissioni dopo i 7 giorni dalla trasmissione del modello telematico, quale procedura deve essere adottata?

La data di effettiva decorrenza della cessazione del rapporto di lavoro è quella che risulta dalla comunicazione obbligatoria. In assenza di tale comunicazione, il rapporto di lavoro risulta ancora in essere. Tali informazioni sono messe a disposizione delle direzioni territoriali del lavoro che riceveranno notifica delle comunicazioni di dimissioni/risoluzione consensuale non seguite da comunicazione obbligatoria.

37. Le dimissioni per giusta causa devono essere comunicate telematicamente?

Sì, nella compilazione è possibile inserire “Dimissioni per giusta causa” come Tipologia di comunicazione.

38. Se le dimissioni per giusta causa sono state comunicate con modalità telematiche quando non era possibile indicare la specifica tipologia, sono comunque efficaci?

Sì, il modello telematico evidenzia solo la genuinità delle dimissioni. La “giusta causa” sarà comprovata dagli uffici competenti secondo le modalità vigenti.

39. Alla luce dell’espressa esclusione dei rapporti di lavoro domestico dalla disciplina introdotta dall’art. 26 del D. Lgs. 151/2015, a questa tipologia di dimissioni si applicano ancora le procedure di convalida di cui alla l. 92/2012?

No, in quanto le disposizioni dei commi da 17 a 23-bis dell’articolo 4 della Legge n.92/2012 sono abrogate a partire dal 12 marzo 2016. Non è prevista nell’articolo 26 comma 8  la loro ultrattività in via residuale per le ipotesi di esclusione specificate nella circolare n.12/2016 nel punto 1.2.

40. L’obbligo di effettuare le dimissioni e le risoluzioni consensuali in via telematica riguarda anche i rapporti di lavoro instaurati all’interno delle strutture di detenzione?

Sì, in tal caso il dipendente in carcere può delegare l’assistente sociale presente presso la casa circondariale a rappresentarlo presso un soggetto abilitato.

41. La procedura si applica ai lavoratori assunti presso una società privata a partecipazione pubblica  totalitaria?

La procedura di dimissioni telematiche deve essere effettuata con riferimento ai rapporti di lavoro privati, a prescindere dalla natura del datore di lavoro.

42. I moduli in lingua tedesca sono validi solo per i cittadini della Provincia Autonoma di Bolzano?

Non risultando alcuna limitazione esplicita all’utilizzo del modulo in lingua tedesca, si ritiene che questo possa essere utilizzato alla stregua di quello in lingua italiana.

43. La procedura telematica può essere effettuata da un Tutore (nominato legalmente da Tribunale) per conto di un lavoratore divenuto “incapace”?

Sì ma occorre tuttavia verificare cosa è stato disposto nel provvedimento del Tribunale in relazione agli atti del tutore e a quelli dell’interdetto.

44. Nel settore bancario sono attivi dei Fondi per i lavoratori prossimi alla quiescenza per cui è richiesta la presentazione delle proprie dimissioni per accedervi. È necessario in questi casi effettuare la procedura telematica anche se è prevista la sottoscrizione di un verbale di conciliazione stragiudiziale e l’effettiva cessazione del rapporto avverrà a distanza di vari anni dalla comunicazione del recesso?

No, i casi di risoluzione consensuale sottoscritta nelle “Sedi protette” ai sensi dell’articolo 2113 c.c. non rientrano nell’ambito applicativo della procedura.

45. Nel caso di socio lavoratore è necessario effettuare la procedura telematica nei casi di dimissione o risoluzione consensuale?

Premesso che tra il socio lavoratore e la società cooperativa si instaurano due distinti rapporti giuridici, quello associativo e quello di lavoro; il primo è regolato dalle relative norme del codice civile, il secondo dalle norme afferenti al rapporto di lavoro, tra cui la L. n. 142 del 2001 finalizzata a tutelare la posizione del socio lavoratore.  Vista l’intima connessione dei due rapporti, la previsione di cui al secondo comma dell’art. 5 della legge n. 142/2001 va intesa nel senso che, in seguito al recesso da socio, il lavoratore dovrà effettuare la trasmissione telematica delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali.

Fonte: Ministero del Lavoro

Patronato. Anche il “Collaboratore” ha un ruolo.

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Consiglio di Stato: Il Collaboratore volontario può accedere alle banche dati.

Con sentenza n. 2798, depositata il 23 giugno 2016, il Consiglio di Stato, decidendo su un ricorso relativamente al divieto di accesso alle banche previdenziali dei collaboratori volontari dei patronati così come affermato nel “Vademecum per lo svolgimento dell’attività di vigilanza sugli istituti di patronato e di assistenza sociale” del 7 agosto 2015, ha stabilito che “negare ai collaboratori volontari l’accesso alle banche dati degli Enti previdenziali, vorrebbe dire, in concreto, impedire ai collaboratori medesimi di espletare gran parte dei compiti loro attribuiti” dall’art. 6 della legge n. 152/2001.

Ciò che il Dicastero del Lavoro ha paventato circa l’accesso a dati sensibili senza garanzia, e’ un rischio che, secondo il massimo organo della Giustizia Amministrativa può essere evitato attraverso “strumenti di conservazione e di tutela della riservatezza dei dati”. Ogni uso improprio delle banche dati può essere sanzionato dagli organi ministeriali di vigilanza. Il Consiglio di Stato e’ intervenuto sull’argomento dopo due pronunce del TAR di Trieste (sentenza n. 523 del 24 novembre 2015) e del TAR del Lazio n. 23769/2015.

 

 

Fonte: Consiglio di Stato

 

 


 

N. 00683/2016 REG.RIC.

N. 02798/2016REG.PROV.COLL.

N. 00683/2016 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 683 del 2016 proposto dal
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO -ROMA -SEZIONE III BIS, n. 13764/2015, resa tra le parti, concernente “vademecum per lo svolgimento dell’attività di vigilanza sugli istituti di patronato e di assistenza sociale nella parte in cui non consente al collaboratore del patronato di accedere alle banche dati degli enti previdenziali”;

 

Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Vista la memoria di costituzione in giudizio del Patronato INCA CGIL e del Patronato ITAL UIL;

Visto l’atto di intervento “ad adiuvandum” ex art. 97 del cod. proc. amm. dei patronati EPACA, EPASA –ITACO, 50 E PIU’ ENASCO, ENAPA e INAPA, con i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del 21 aprile 2016 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Bruno Dettori per il Ministero appellante, Mario Sanino per gli appellati e Raffaele Bifulco per gli intervenienti;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

 

1.Gli istituti di patronato Inca Cgil e Ital Uil hanno impugnato davanti al Tar del Lazio il provvedimento del Ministero del Lavoro del 7.8.2015 avente a oggetto il “Vademecum per lo svolgimento della attività di vigilanza sugli Istituti di patronato e di assistenza sociale”, nella parte in cui non consente al collaboratore volontario del patronato di accedere alle banche dati degli enti previdenziali.

Con la sentenza in epigrafe il giudice di primo grado, dopo avere rilevato in via preliminare che con la sentenza n. 523 del 2015 il Tar del Friuli –Venezia Giulia aveva definito, accogliendolo, un ricorso che riguardava “una questione assolutamente analoga a quella in trattazione nel presente giudizio” (la questione decisa dal Tar di Trieste concerneva la conformità, o meno, alla normativa, della circostanza che i collaboratori volontari dell’istituto di patronato ricorrente avessero il possesso delle password di accesso ai sistemi informatici di INPS e INPDAP), ha trascritto argomentazioni e conclusioni della citata sentenza n. 523 del 2015, condividendole e recependole e, per l’effetto, ha annullato l’atto impugnato “siccome affetto dalla dedotta illegittimità”, compensando le spese del giudizio tra le parti trattandosi di questione nuova.

In particolare la sentenza:

– ha osservato che, ferma la distinzione tra operatore dipendente dall’istituto di patronato e collaboratore volontario, tale per cui solamente il primo è responsabile anche verso l’esterno e firma gli atti del patronato stesso, mentre il collaboratore svolge solo compiti di informazione, istruzione, raccolta e consegna delle pratiche, la disciplina sui patronati e, in particolare, l’art. 6 della l. n. 152 del 2010, va interpretata alla luce del d. lgs n. 82 del 2005 sulla digitalizzazione dell’Amministrazione e della l. n. 122 del 2010 sull’uso esclusivo dei sistemi telematici nei rapporti con la P. A. , vale a dire “nell’ottica del nuovo quadro normativo”;

– ha statuito che l’attività di “istruzione delle pratiche” attribuita ai collaboratori volontari “implica per sua stessa natura l’accesso alle banche dati pubbliche, il che equivale nell’attuale situazione all’accesso ai documenti cartacei nel precedente sistema. Fermo restando quindi che spetta solo all’operatore la stesura e la validazione finale di ogni tipo di documento, oltre che la responsabilità dei suoi contenuti, non si vede per quale ragione un collaboratore volontario non possa accedere alle banche dati per acquisire informazioni e dati, istruire la pratica e predisporre un testo che naturalmente non può che essere valorizzato e utilizzato dall’operato responsabile;

– ha specificato che quanto poi alla consegna del documento finale redato dal patronato essa può avvenire ad opera del collaboratore anche utilizzando la via informatica, naturalmente anche in tal caso sotto la responsabilità dell’operatore cui va imputata la redazione del documento stesso. Attualizzando e “traducendo” il testo della legge numero 152 del 2001 nell’ambito della digitalizzazione della pubblica amministrazione, “l’accesso alle banche dati da parte dei collaboratori risulta non solo facoltativo ma necessitato” al fine di rendere effettiva la collaborazione con gli operatori nell’ambito dell’istruzione delle pratiche;

– ha soggiunto che eventuali istruzioni interne contrarie alla ricostruzione normativa fornita sono irrilevanti, tenuto conto dell’usuale canone di gerarchia delle fonti, e che ogni uso improprio delle banche dati sarà sanzionato sia in via diretta dal patronato e sia dal Ministero in sede di controllo.

2.Ministero, che ha proposto appello con istanza di sospensiva. Dopo un inquadramento normativo generale sugli enti di patronato, e dopo avere evidenziato che il Vademecum “segnala che (ai collaboratori che operino in modo volontario e gratuito) non può essere consentito l’accesso alle banche dati degli Enti previdenziali, di esclusiva competenza degli operatori di Patronato. I compiti a essi attribuiti sono quelli tassativamente individuati nell’art. 6 della legge n. 152/2001 e contenuti nel modello di convenzione approvato dal Ministero del Lavoro e allegato alla circolare n. 10/2010…ciò in quanto una confusione tra i due ruoli porrebbe problemi di compatibilità con la normativa sulla tutela della riservatezza dei dati personali, nonché sulla diversa responsabilità dell’operatore di Patronato e del collaboratore volontario”, l’appellante:

2.1. in primo luogo deduce l’inammissibilità del ricorso introduttivo di primo grado, essendo stato impugnato un atto interno non lesivo di alcuna posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo;

2.2. in secondo luogo rileva che la sentenza sarebbe incorsa in ultrapetizione in quanto il Tar avrebbe annullato l’intero vademecum, quantunque nel ricorso introduttivo le parti ricorrenti avessero chiesto al giudice di annullare il provvedimento ministeriale del 7 agosto 2015 esclusivamente “nella parte in cui non consente al collaboratore del patronato di accedere alle banche dati degli enti previdenziali”;

2.3. con il terzo motivo di appello la sentenza è contestata nel merito per avere il Tar del Lazio ritenuto che la questione risolta dal Tar Friuli Venezia Giulia con la sentenza n. 523 del 2015 fosse analoga a quella sottoposta al giudizio del primo Tar;

2.4. infine il Ministero rimarca che la sentenza di primo grado avrebbe errato nel ritenere possibile e legittimo l’accesso alle banche dati degli enti previdenziali anche da parte dei collaboratori volontari dato che così facendo si determina una sostanziale parificazione di ruoli tra collaboratori volontari e operatori professionali dei patronati, e ciò in violazione dell’art. 17 del d. lgs. n. 152 del 2001. La parificazione suddetta è sempre stata negata dalla normativa in materia, diretta a ribadire la distinzione e la separazione di compiti tra l’operatore dipendente dall’istituto di patronato e il collaboratore volontario. Del resto, in base a quanto dispone il citato art. 6, ai collaboratori volontari non possono essere attribuiti poteri di rappresentanza degli assistiti. Il mandato di assistenza conferito all’istituto di patronato deve essere firmato dal mandante e dall’operatore autorizzato a riceverlo dall’istituto di patronato. L’attribuzione, ai collaboratori volontari, delle credenziali di accesso alle banche dati degli enti previdenziali conferirebbe la possibilità, ai collaboratori medesimi, di compiere, per conto dell’utente, tutte le attività previste, senza limiti, pur in assenza della qualifica e della preparazione professionale proprie degli operatori. Inoltre, la ricostruzione interpretativa seguita in sentenza comporta il rischio di favorire la costituzione di fatto di un vincolo sinallagmatico del collaboratore volontario con il patronato, e ciò in violazione dell’art. 6 della l. n. 152 del 2001 che prevede il carattere solo occasionale della collaborazione volontaria e gratuita.

3. Il patronato EPACA e gli altri meglio specificati in epigrafe hanno svolto intervento “ad adiuvandum” della posizione del Ministero, premettendo di essersi sempre attenuti alla lettera della legge e della prassi amministrativa e di avere tenuto ben distinta la figura dell’operatore da quella del collaboratore volontario.

Nell’atto di intervento si è osservato tra l’altro che la sentenza di primo grado, consentendo al patronato di svolgere attività di assistenza mediante personale privo di un’adeguata formazione, responsabilità e controllo, finisce con l’attribuire poteri di rappresentanza ai collaboratori volontari, con ricadute pesanti sulla qualità del servizio reso dai patronati.

INCA CGIL e ITAL UIL si sono costituiti per resistere, concludendo per il rigetto dell’appello che nella camera di consiglio del 21 aprile 2016, sentite le parti, è stato trattenuto in decisione.

4. L’appello è infondato e va respinto. La sentenza va confermata.

4.1. In rito (v. sopra, punti 2.1. e 2.2.), in primo luogo, diversamente da quanto afferma l’Amministrazione appellante, il provvedimento ministeriale in epigrafe, nella parte in cui non consente ai collaboratori volontari di patronato di ottenere la password per poter accedere alle banche dati degli enti previdenziali, è lesivo in via immediata e diretta della posizione giuridica degli istituti di patronato ricorrenti e odierni appellati, posto che il vademecum stesso non si limita a chiarire il significato di norme destinate a essere applicate dagli uffici territoriali del lavoro ma, come si dirà più avanti, al p. 4.2. , mira a innovare la normativa “comprimendo il ruolo” dei collaboratori volontari previsti dall’art. 6 della l. n. 152 del 2001.

Il carattere lesivo della indicazione del Vademecum è strettamente correlato alla diminuzione della funzione effettiva di collaborazione nell’attività di patronato, con riguardo, in particolare, ai compiti di istruzione delle pratiche.

Il Vademecum ha dunque un contenuto provvedimentale lesivo della situazione giuridica fatta valere dagli istituti di patronato.

Di qui l’interesse alla impugnazione del Vademecum “in parte qua”.

In secondo luogo, il Tar non è incorso in nessuna “ultrapetizione”.

Poiché i motivi di censura “segnano” l’ambito del potere giurisdizionale di annullamento, dato che nel ricorso di primo grado gli istituti di patronato –come gli stessi appellati riconoscono- avevano domandato al giudice di annullare il provvedimento ministeriale del 7 agosto 2015 nella sola parte in cui non è consentito al collaboratore volontario di accedere alle banche dati degli enti previdenziali, deducendo una limitazione illegittima dei compiti del collaboratore medesimo, ne consegue che l’accoglimento e l’annullamento giurisdizionali, qui confermati, si riferiscono e, ove occorra, per esigenze di chiarezza, vanno circoscritti a quella prescrizione del Vademecum con la quale si vieta ai collaboratori volontari di accedere alle banche dati e si afferma che l’accesso anzidetto rientra nella competenza esclusiva degli operatori di patronato.

4.2. Quanto al merito (v. sopra, punti 2.3. e 2.4.), occorre rilevare preliminarmente che la controversia dinanzi al Tar di Trieste, pur traendo origine da una istanza di rettifica, inutilmente avanzata al Ministero, da un istituto di patronato, avverso un verbale di accertamento ispettivo, nella parte in cui tale verbale aveva disconosciuto le convenzioni di alcuni collaboratori volontari trovati in possesso di password per accedere ai servizi informatici al fine di raccogliere le pratiche e di rilevare i dati da consegnare poi all’operatore di patronato; la causa riguardava, effettivamente, una questione “assolutamente analoga a quella in trattazione” nel giudizio dinanzi al Tar del Lazio. Di qui la correttezza del richiamo, operato nella sentenza impugnata, alle argomentazioni e alle conclusioni della decisione del Tar Friuli –Venezia Giulia.

Sempre in via preliminare pare il caso di rammentare che l’art. 6 della citata l. n. 152 del 2001, recante la nuova “disciplina per gli istituti di patronato ed assistenza sociale”, regolamenta in dettaglio i compiti del personale presente all’interno del Patronato.

In particolare, con il citato art. 6 è stato stabilito che gli istituti di patronato e di assistenza sociale, per lo svolgimento delle proprie attività operative:

a) possono ” … avvalersi esclusivamente di lavoratori subordinati dipendenti degli istituti stessi o dipendenti delle organizzazioni promotrici, se comandati presso gli istituti stessi …” (comma 1);

b) è comunque ammessa “la possibilità di avvalersi, occasionalmente, di collaboratori che operino in modo volontario e gratuito esclusivamente per lo svolgimento dei compiti di informazione, di istruzione delle pratiche, nonché di raccolta e consegna delle pratiche agli assistiti e agli operatori o, su indicazione di questi ultimi, ai soggetti erogatori delle prestazioni. In ogni caso, ai collaboratori di cui al presente comma non possono essere attribuiti poteri di rappresentanza degli assistiti. Resta fermo il diritto dei collaboratori al rimborso delle spese autorizzate secondo accordo ed effettivamente sostenute e debitamente documentate, per l’esecuzione dei compiti affidati. Le modalità di svolgimento delle suddette collaborazioni devono risultare da accordo scritto vistato dalla competente Direzione provinciale del lavoro e per l’estero dalle autorità consolari e diplomatiche” (comma 2);

c) esclusivamente per determinate attività “… di cui agli articoli 8 e 10 e per periodi limitati di tempo, in corrispondenza di situazioni di particolare necessità ed urgenza, gli istituti di patronato e di assistenza sociale possono stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa” (art. 6 comma 3).

Per assolvere ai propri compiti istituzionali, quindi, gli istituti di patronato utilizzano i c. d. “operatori di patronato”, i quali ai sensi del citato comma 1 sono “lavoratori subordinati dipendenti degli istituti stessi o dipendenti delle organizzazioni promotrici, se comandati presso gli istituti”; e i c. d. “collaboratori volontari”, i quali operano in forma volontaria e gratuita (si tratta in genere di delegati sindacali di categoria o dei pensionati) e che in virtù del citato comma 2, pur non avendo poteri di rappresentanza, svolgono “compiti di informazione, di istruzione delle pratiche, nonché di raccolta e consegna delle pratiche agli assistiti e agli operatori o, su indicazione di questi ultimi, ai soggetti erogatori delle prestazioni.”; e possono avvalersi altresì di altri soggetti (altri collaboratori) utilizzati esclusivamente per svolgere determinate attività e per limitati periodi di tempo, stipulando contratti di co. co. co. di cui al comma 3 dell’art. 6.

L’attività del patronato viene dunque posta in essere dagli operatori e dai collaboratori volontari, ciascuno in relazione agli ambiti rispettivi assegnati loro dalla legge. I collaboratori volontari, pur non avendo potere di rappresentanza dell’assistito (anche se, come gli appellati non mancano di osservare, il modello di mandato rilasciato dall’assistito, oltre a contenere uno spazio per inserire i dati dell’operatore di patronato, significativamente ne reca anche un altro per indicare anche i dati dell’eventuale collaboratore che ha raccolto e istruito la pratica stessa), in coerenza con quanto previsto dall’art. 6 della l. n. 152 del 2001 informano gli utenti, raccolgono il mandato e la documentazione necessaria al fine di istruire le pratiche e raccolgono e consegnano le pratiche agli assistiti e agli operatori o, su indicazione di questi ultimi, ai soggetti erogatori delle prestazioni. Gli operatori, invece, dotati di potere di rappresentanza dell’assistito, analizzano, valutano, rielaborano, sottoscrivono e dispongono l’invio agli enti previdenziali delle pratiche raccolte e istruite, anche dai collaboratori. Gli operatori costituiscono quindi la “figura professionale” dell’ente di patronato e assumono la responsabilità “finale”, verso l’esterno, dell’attività compiuta.

Va poi soggiunto che l’art. 17 della l. n. 152 del 2001 –divieti e sanzioni, prevede che “è fatto divieto agli istituti di patronato e di assistenza sociale di avvalersi, per lo svolgimento delle proprie attività, di soggetti diversi dagli operatori di cui all’articolo 6. La violazione del suddetto divieto comporta, per la sede in cui si è verificata detta violazione, la decadenza dal diritto ai contributi finanziari di cui all’articolo 13, per le attività svolte dalla sede in cui si è verificata la infrazione”.

Ciò posto, alla luce della normativa di riferimento innanzi riportata il Collegio osserva anzitutto che, diversamente da quanto ritiene l’appellante, e in modo conforme a ciò che si è statuito in sentenza di prime cure, nel consentire ai collaboratori volontari l’accesso alle banche dati degli enti previdenziali non si viene a determinare alcuna parificazione o commistione di ruoli tra operatori di patronato e collaboratori volontari.

Come correttamente rilevato in sentenza, al p. 3.1., la separazione tra le due figure e la distinzione di compiti tra operatore di patronato e collaboratore volontario, ribadita sopra e bene delineata dal Tar, persiste.

La distinzione anzidetta non sbiadisce ove si consenta al collaboratore volontario di accedere munito di password alle banche dati degli enti previdenziali.

La responsabilità “finale”, ed esterna, dell’operatore di patronato, rimane ferma (v. sent. , punti 3.1. e 3.2.).

E’ poi esatto (v. sent. , p. 3.2.) che i compiti di “istruzione delle pratiche” ex art. 6, comma 2, cit. implicano, per loro stessa natura, l’accesso alle banche dati degli enti previdenziali.

Negare ai collaboratori volontari l’accesso alle banche dati degli enti previdenziali vorrebbe dire impedire in concreto, ai collaboratori medesimi, di espletare gran parte dei compiti attribuiti loro dalla disposizione di riferimento e in particolare di istruire e consegnare le pratiche e ciò in un contesto anche di “alleviamento”, specie nei riguardi di alcuni segmenti di utenza, dei disagi legati al c. d. “digital divide” (divario digitale).

In maniera condivisibile quindi la sentenza appellata, al p. 3.4. , ha affermato che “attualizzando e traducendo il testo della l. n. 152 del 2001 nell’ambito della digitalizzazione della P. A. l’accesso alle banche dati da parte dei collaboratori risulta non solo facoltativo ma anche necessitato” allo scopo di rendere possibile la collaborazione istruttoria con gli operatori. E bene gli appellati sottolineano che il divieto di accesso alle banche dati si sostanzia in una illegittima limitazione dei compiti del collaboratore volontario il quale, privato della facoltà di accesso anzidetta, non potrà compiere l’istruttoria necessaria ai fini della predisposizione delle pratiche oggetto dell’attività del patronato.

Del resto, l’avvalimento di collaboratori volontari e gratuiti per lo svolgimento dei compiti indicati all’art. 6 della l. n. 152 del 2001 nel quadro attuale di digitalizzazione e di telematizzazione dei procedimenti nel settore in questione si pone negli stessi termini ed entro il medesimo perimetro che caratterizza(va) l’attività di collaborazione volontaria nella precedente disciplina, contraddistinta dalla “gestione cartacea”, per così dire, dei procedimenti stessi.

Le nuove modalità di conservazione e di gestione digitalizzata dei dati non possono essere di ostacolo a uno svolgimento effettivo ed efficace dei compiti propri del collaboratore volontario: diversamente opinando, risulterebbe illegittimamente “danneggiato” il servizio stesso –si noti, di “pubblica utilità” (cfr. art. 1 della l. n. 152 del 2001)- dell’ente di patronato.

Risulta improprio, quindi, ipotizzare una parificazione sostanziale tra le due figure.

La previsione di accesso alle banche dati non comporta alcun pericolo di commistione di ruoli tra operatore di patronato e collaboratore volontario. L’ “interezza” dell’assunzione di responsabilità in capo all’operatore non viene in alcun modo scalfita dalla previsione della possibilità, per i collaboratori volontari, di accedere ai sistemi informatici di INPS e INPDAP, appunto perché l’accesso di per sé non implica poteri di rappresentanza del patronato: rappresentanza e responsabilità permangono in capo all’operatore, il quale “valida” la pratica istruita dal collaboratore volontario.

La sopravvenuta normativa sulla digitalizzazione non ha abrogato l’art. 6 della l. n. 152 del 2001 e quindi l’attività di “istruzione delle pratiche” deve essere consentita anche con i nuovi sistemi e strumenti.

Inoltre, il divieto di cui all’art. 17 della l. n. 152 del 2001 va armonizzato con la disposizione di cui al citato art. 6 della stessa legge che, come detto, ammette la possibilità di avvalersi in via occasionale di collaboratori che operino in modo volontario e gratuito.

Il fatto poi che l’art. 6, comma 2, della l. n. 152 del 2001, nel fare riferimento all’attività dei collaboratori operanti in modo volontario e gratuito, usi l’avverbio “occasionalmente”, non può sovvertire l’esito della controversia dato che si tratta di un profilo che attiene alle modalità di organizzazione interna dell’attività degli istituti di patronato e non incide sulle modalità di esecuzione dell’attività da parte dei collaboratori. Come specificato poc’anzi, stando alla disciplina di cui alla l. n. 152 del 2001 assume comunque rilievo preminente la responsabilità “finale”, ed esterna, dell’operatore professionale.

Né, infine, possono porsi problemi ostativi di “compatibilità con la normativa sulla tutela della riservatezza dei dati personali”, avuto riguardo alla responsabilità, per la condotta (anche) dei collaboratori volontari, in capo all’istituto di patronato, il quale ben potrà, ove del caso, predisporre strumenti di conservazione e di tutela della riservatezza dei dati; al fatto che il collaboratore volontario a quanto consta può visionare solo la pratica che ha in lavorazione e non altre pratiche; e alla circostanza che l’assistito è invitato a sottoscrivere la dichiarazione di consenso ex d. lgs. n. 196 del 2003.

Senza tralasciare di considerare, come giustamente segnala il Tar al p. 4.1. , che ogni uso improprio delle banche dati verrà sanzionato dall’ente di patronato e dagli organi ministeriali di vigilanza e controllo sull’operato degli istituti di patronato.

Per le ragioni esposte sopra l’appello va respinto e, per l’effetto, la sentenza impugnata va confermata, con il conseguente annullamento del provvedimento impugnato in primo grado nella parte in cui non si consente al collaboratore volontario di accedere alle banche dati degli enti previdenziali.

La novità della questione trattata giustifica tuttavia la compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente decidendo sull’appello in epigrafe (n. R. G. 683 del 2016) lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.

Spese del secondo grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

Francesco Mele, Consigliere

     
     
L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

Il Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/06/2016

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Dirigente della Sezione

 

Un colpo ai furbi e truffatori.

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A quando la riduzione dei premi?

Rc auto e lotta alle frodi assicurative: con l’arrivo della banca dati dei sinistri, dei danneggiati e dei testimoni, ogni incidente avrà un codice unico identificativo. Ad ogni incidente stradale denunciato all’assicurazione sarà dato un codice identificativo, rintracciabile dalle autorità e dalle altre assicurazioni; e, a seconda che sussistano o meno sospetti di truffa, la pratica verrà inserita in una white list o in una black list.

In attuazione di legge ormai datata 2005, il 10 giugno scorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il regolamento che disciplina la cosiddetta banca dati sinistri, la banca dati anagrafe testimoni e la banca dati anagrafe danneggiati.

Le banche dati raccolgono i dati dei sinistri relativi ai veicoli a motore immatricolati in Italia, nonche’ i dati dei testimoni e dei danneggiati riferiti ai medesimi sinistri, al fine di agevolare la prevenzione e il contrasto di comportamenti fraudolenti nel settore dell’assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore. 2. Le banche dati sono organizzate in modo da consentire all’IVASS, in relazione alla finalita’ di cui al comma 1, di effettuare elaborazioni statistiche, ricerche, studi ed analisi dei dati.

I dati per l’alimentazione delle banche dati sono comunicati all’IVASS, dal momento del pervenimento della richiesta di risarcimento o della denuncia e fino alla definizione del sinistro, da parte dell’impresa di assicurazione italiana:

a) che ha ricevuto la richiesta di risarcimento del danneggiato, nel caso di sinistri soggetti alla procedura di risarcimento diretto di cui all’art. 149 del Decreto;

b) che gestisce la procedura di liquidazione a seguito della denuncia di sinistro del responsabile o, in mancanza, della richiesta di risarcimento del danneggiato, nel caso di sinistri soggetti alla procedura di risarcimento di cui all’art. 148 del decreto.

I dati da comunicare sono relativi alle seguenti categorie:

a) elementi identificativi del sinistro;

b) elementi identificativi dei testimoni del sinistro;

c) elementi identificativi dei danneggiati dal sinistro;

d) elementi identificativi dei contraenti, dei proprietari e dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro;

e) elementi identificativi dei veicoli coinvolti nel sinistro;

f) elementi identificativi dei professionisti incaricati in relazione al sinistro;

g) elementi identificativi delle carrozzerie o autofficine di riparazione dei veicoli coinvolti nel sinistro;

h) elementi identificativi delle autorita’ e dei presidi di pronto soccorso eventualmente intervenuti in relazione al sinistro;

i) elementi di valutazione del danno alle cose e/o alle persone. In caso di danni alle cose: parti danneggiate; in caso di danni alle persone: sedi delle lesioni, classificate in base a zone anatomiche predeterminate o eventuale decesso;

j) elementi identificativi dei pagamenti per danni a cose e/o persone determinati dal sinistro, ivi inclusi i beneficiari.

Il nuovo archivio antifrode combatterà questi fenomeni schedando ogni incidente: verrà infatti attribuito a ciascun sinistro stradale un codice unico “evento” sulla base di un algoritmo di calcolo predefinito, che prenderà in considerazione le informazioni segnalate anche se provenienti da assicurazioni differenti. Alcuni indicatori consentiranno così di sospettare se è in atto una truffa degli automobilisti a danno delle assicurazioni.

SERVIZIO CIVILE UNIVERSALE

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L’approvazione definitiva da parte del Parlamento del disegno di legge delega sul Terzo Settore reca l’introduzione del cd. servizio civile universale. Si tratta di una novità che interesserà i giovani tra i 18 e i 28 anni i quali potranno partecipare ad iniziative finalizzate alla difesa non armata rivolte a promuovere, ad esempio, attività di solidarietà, inclusione sociale, cittadinanza attiva, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale della nazione, sviluppo della cultura dell’innovazione e della legalità nonché a realizzare una effettiva cittadinanza europea e a favorire la pace tra i popoli.

I giovani, e questa è una delle novità principali, potranno prestarlo sia presso enti territoriali sia presso enti pubblici ma anche presso qualsiasi ente o organizzazione privata senza scopo di lucro (si pensi in particolare ad onlus o associazioni che si dedicano all’assistenza di disabili, anziani, indigenti, minori o comunque soggetti in condizione di fragilità economica o sociale). Con possibilità, peraltro, di essere svolto anche al di fuori del territorio italiano. Gli enti terzi presso i quali i giovani potranno essere impegnati dovranno essere tuttavia accreditati preventivamente dallo Stato. Si aderirà attraverso un bando pubblico che fisserà il contingente numerico con un meccanismo di programmazione, di norma triennale, al quale potranno partecipare anche cittadini dell’Unione europea e soggetti ad essi equiparati ovvero stranieri regolarmente soggiornanti o partecipanti ad un programma di volontariato.

I giovani impiegati nel servizio civile universale avranno, inoltre, uno status giuridico ad hoc con particolari benefit sul trattamento retributivo (le somme erogate non saranno sottoposte ad alcun prelievo fiscale)  fermo restando che il rapporto di servizio non potrà essere assimilato ad un rapporto di lavoro normale. La durata del servizio civile sarà ricompresa tra un minimo di otto mesi ed un massimo di un anno e dovrà essere svolta in modo tale da contemperare le finalità dello stesso con le esigenze di vita e di lavoro dei giovani coinvolti ed il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze acquisite dai giovani durante l’espletamento del servizio civile, nei percorsi di istruzione e in ambito lavorativo. Ad esempio tramite lo svolgimento del servizio civile si potranno riconoscere dei crediti formativi utili ai fini del percorso universitario e/o lavorativo.

Estratto conto. Se errato paga l’Inps!

Lo stabilisce la Cassazione -Sezione Lavoro- con la sentenza  n. 8604/2016.

L’Inps non può coprirsi ritenendo non “certificativo” ma “dichiarativo” l’estratto conto che l’utente riceve. Qualunque sia la definizione che sceglie l’Inps l’estratto conto è sempre un documento che certifica una situazione e perciò non può essere approssimativo.

L’Amministrazione pubblica quando dice o scrive qualcosa deve fornire informazioni corrette e attendibili sulle quali il cittadino, proprio perché derivato dal pubblico potere, deve fare completo affidamento. E questo affidamento costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto.     Sentenza cassazione n. 8604-2016

APE. Salvaguardare gli assegni più bassi.

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Pensioni - Flaica Lazio

Sembra andare nella giusta direzione la proposta in discussione per l’anticipo pensionistico, che modifica in parte la legge Fornero, ma riduce l’assegno mensile, con incidenza irrisoria sulle pensioni più basse.

L’Ape, acronimo che sta per Anticipo pensionistico è il progetto a cui il Governo sta lavorando per consentire, dal 2017, a chi ha raggiunto almeno i 63 anni di età di andare in anticipo in pensione. I primi interessati sarebbero i nati a partire dalla seconda metà del 1951 sino al 1953. Per ottenere l’anticipo il lavoratore deve essere disposto a rinunciare a una percentuale del trattamento stesso, individuata in una forbice tra l’1 e il 3% annuo che salirebbe al 4% ed oltre nel caso di assegni alti. L’operazione verrà fatta con prestiti da parte di banche e assicurazioni attraverso l’Inps, che dovranno poi essere restituiti a rate dagli interessati.

La penalità, secondo le indicazioni del Governo, tuttavia non sarà uguale per tutti i lavoratori: per i disoccupati di lunga durata (cioè coloro che hanno esaurito l’intera durata della Naspi, dell’Asdi o dell’indennità di mobilità) o per coloro che conseguirebbero un assegno inferiore a 1.500 euro al mese (cioè tre volte il trattamento minimo) l’importo della decurtazione dovrebbe risultare piuttosto contenuto (anche nell’ordine dell’1% per ogni anno di anticipo). Si ricorda che la penalità coinvolge le sole quote dell’assegno calcolate con il sistema retributivo (quota A e quota B). Vale a dire le anzianità maturate sino al 31 dicembre 2011 per i lavoratori in possesso di almeno 18 anni di contribuzione al 31.12.1995 o sino al 31.12.1995 per i lavoratori in possesso di meno di 18 di contributi alla predetta data. Pertanto la riduzione sarà più intensa per coloro che hanno almeno 18 anni di contributi al 1995 in quanto larga parte del loro assegno è ancora calcolata con il sistema retributivo.Immaginando, ad esempio, un assegno lordo mensile di 2.500 euro di cui 2.200 euro frutto del sistema retributivo (cioè calcolato in misura più vantaggiosa sino al 31 dicembre 2011) l’applicazione di una penale del 10% su questa quota potrebbe costare circa 220 euro al mese per un totale di 2.860 euro l’anno, pari circa a 1.600 euro netti, poco meno di una mensilità di pensione all’anno.

Sulla penalità, in definitiva, il Piano del Governo riprende alcuni contenuti dal progetto Damiano-Baretta (ddl 857) e dal Piano Boeri. Damiano ipotizza, comunque, una penalità più leggera e fissa, pari al 2% per ogni di anticipo sino ad un massimo però di quattro anni contro i tre previsti dal Governo. Anticipo, quindi, che al massimo può portare ad una riduzione dell’assegno dell’8%. Boeri teorizza una decurtazione più pesante, anch’essa fissa nell’ordine del 3% annuo sino ad un massimo di tre anni.  Da considerare, inoltre, che anche la quota C di pensione, quella calcolata con il sistema contributivo, sarà sottoposta ad una riduzione in quanto si andranno ad attivare coefficienti di trasformazione del montante contributivo ridotti rispetto a quelli vigenti sull’età piena producendo un ulteriore effetto negativo sull’assegno.

Da segnalare, inoltre, che nel Piano del Governo non ci sono, almeno per ora, misure a sostegno dei lavoratori precoci, invece previste nel progetto depositato dall’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano (ddl 857) in discussione alla Camera.

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