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22 giugno. Sciopero generale del sindacalismo di base

I sindacati di base proseguono ed intensificano le lotte.

8 GIUGNO MANIFESTAZIONE A ROMA DAVANTI ALLA CAMERA

9 GIUGNO MANIFESTAZIONE A MILANO

22 GIUGNO SCIOPERO GENERALE

CON MANIFESTAZIONI A MILANO E ROMA

 

I sindacati di base concordano nell’analisi della situazione sul piano internazionale e italiano e mantengono un giudizio negativo durissimo sull’operato del governo Monti che rappresenta gli interessi del capitale internazionale ed in particolare è un fedele esecutore dei diktat della BCE e dell’Unione Europea.

In particolare il giudizio negativo scaturisce  per l’attacco al diritto alla salute con i tikets e alla pensione; l’aumento delle tasse attraverso le accise, l’Iva e l’introduzione dell’IMU – vera patrimoniale sui lavoratori e le famiglie e per l’insopportabile carico fiscale che grava unicamente sui lavoratori dipendenti.

La riforma del lavoro approvata dal Senato, inoltre, spalanca le porte ai licenziamenti con le modifiche all’art.18, inganna i precari con misure che peggiorano l’esistente; riduce la possibilità di ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria; sostituisce la mobilità con l’indennità di disoccupazione per un periodo più breve e centinaia di migliaia di lavoratori restano senza pensione e mobilità per lo spostamento dell’età di accesso alla pensione.

Le organizzazioni sindacali complici Cgil, Cisl, Uil, Ugl, stanno accompagnando tutti i processi di devastazione del welfare e dei diritti conquistati dal movimento dei lavoratori, e stanno consentendo la deregolamentazione delle attuali salvaguardie dai licenziamenti discriminatori sia nel settore privato che in quello pubblico.

Questa situazione va affrontata con la lotta e la mobilitazione. Il movimento dei lavoratori deve ritrovare la forza e la capacità di azione per continuare nell’azione di forte contrasto alle politiche del governo sostenuto da PD, PdL, Terzo polo a partire dalle iniziative dell’otto e nove giugno e con il successivo sciopero generale nazionale del 22 giugno con manifestazioni a Milano e Roma

Le decisioni assunte su pensioni, imposte, salute e quelle in via di approvazione definitiva, come gli interventi sul mercato del lavoro, non esauriscono le misure di politica economica liberista che si intendono attuare ma alla prima concretizzazione di un progetto che si svilupperà nei prossimi anni.

C’è perciò la necessità di battersi per contrastare e impedire il completamento di tale progetto che se dovesse avere la possibilità di proseguire scaricherebbe 50 miliardi all’anno di tagli e/o imposte sui lavoratori.

Giugno 2012

MILANO 9 GIUGNO 2012

Presidio P.zza Cordusio ore 15

PRIVILEGI STOP

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In questa Legislatura, sono 85 i consiglieri e gli assessori ai quali viene operata la trattenuta per il cosiddetto “Fondo di Previdenza”, meglio conosciuto come vitalizio.

Un’uscita che mensilmente costa al Consiglio Regionale 128˙521 euro, per un importo annuo pari a 1˙542˙000 euro, a cui si aggiungono 1˙218˙000 euro al mese per il pagamento del vitalizio agli ex consiglieri che godono già di tale privilegio.

Gli attuali consiglieri regionali, una volta raggiunta l’età per l’accesso al beneficio, costeranno ulteriori 4˙500˙000 euro annui In vitalizi. Questo costo si andrà ad aggiungere ai 17˙000˙000 di euro già spesi annualmente dal Consiglio regionale per i 221 ex consiglieri che attualmente ne usufruiscono.

Quindi, a partire dai 50 anni e per tutto il resto della loro vita, questi consiglieri percepiranno un vitalizio mensile di 4˙400 euro per una sola legislatura, che potrà essere riversato – in caso di morte del beneficiario – alla moglie, oppure al figlio fino ai 26 anni, oppure alla convivente.

Se è vero che l’aspettativa di vita è oggi di 84 anni, in 34 anni di benefici, gli 85 consiglieri e assessori costeranno alle casse regionali 153 milioni di euro.

 Per la provincia di Latina i moduli per la raccolta delle firme sono depositati nei comuni di Latina, Aprilia e Pontinia.

I cittadini di Latina che intendono firmare posso recarsi presso l’Ufficio elettorale sito in via  Ezio, muniti di documento di riconoscimento, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 e, il martedì e giovedì, anche dalle 15 alle 17,30.

Pubblico impiego. Si torna alla “concertazione”

Pubblico Impiego: con l’accordo del 3 maggio, di nuovo la concertazione sulla pelle dei lavoratori.

Cgil–Cisl-Uil esultano: si torna alla concertazione, il governo firma accordi con loro, tornano, sulla pelle dei lavoratori, i bei tempi dei rapporti privilegiati fra sindacati istituzionali e governo.

Questo è a tutti gli effetti uno scambio con la non opposizione di cgil-cisl uil alla macelleria sociale del governo.

E i lavoratori del pubblico impiego la cui vita, i cui salari, i cui diritti sono definiti dall’intesa del 3 maggio cosa devono pensarne?

 In estrema sintesi:

1.      Tagli – si ammette che i tagli lineari non garantiscono un miglioramento dell’efficienza (ma va?) ma non solo non tornano indietro, solo nella scuola siamo ad oltre 150.000 posti in meno, ma proseguono solo che adesso lo fanno in inglese con la spending review. Un bel risultato anche se potrebbero essere più originali e fare tagli in croato;

2.      Divisione dei lavoratori – si ribadisce che gli aumenti vanno legati al merito con “rigorosi sistemi di collegamento fra premialità e risultati individuali”. Ovviamente il merito, non possono che stabilirlo i superiori gerarchici, ovviamente concertando con cgil cisl uil. Il tutto è condito con il tentativo di conquistare il consenso dei cittadini invitati a segnalare le inefficienze della pubblica amministrazione;

3.      Poteri ai dirigenti – in questo modello i poteri dei dirigenti sono rafforzati e, come se non bastassero cgil cisl uil, si riconosce potere contrattuale alle loro rappresentanze;

4.      Licenziamenti – scusate, ora si chiama mobilità in uscita. Si afferma che si devono “rafforzare i doveri disciplinari dei dipendenti” e “riordinare la disciplina dei licenziamenti per motivi disciplinari”. Naturalmente, torna in mente il fantozziano “Quant’è buono lei!” si prevedono “garanzie di stabilità in caso di licenziamento illegittimo”. Insomma si ammette che se un lavoratore viene licenziato senza motivi seri ci sarebbero “garanzie di stabilità”.

5.      Precariato – anche in questo caso per impressionare l’opinione pubblica ricorrono a termini angloamericani. Questa volta parlano di tenure track. In concreto però nulla si dice su come intendano risolvere la questione del precariato realmente esistente da decenni;

6.      Mobilità fra comparti – verrà favorito il business della formazione funzionale alla mobilità. Come è ben noto di tratta di un notevole giro d’affari al quale sono interessati cgil cisl uil. In compenso servirà a saturare l’organico ed ad impedire nuove assunzioni.

7.      Contrattazione – si ribadisce e si estende, come abbiamo visto, il potere di cgil cisl uil mentre le RSU, che almeno sono elette direttamente dai lavoratori, continuano ad avere poteri ed ambiti di contrattazione limitatissimi.

 Quest’intesa va respinta con la mobilitazione e l’organizzazione

                           Passa dalla tua parte

                        Organizzati con la CUB

Milano 10 maggio 2012

9 Maggio – Mobilitazione nazionale

Opposizione alle politiche Monti-Napolitano con un percorso di lotta che sfocerà in uno sciopero generale.

9 maggio,

giornata nazionale di mobilitazione

Deciso nella riunione del sindacalismo di base del 19 aprile scorso, una risposta che coinvolge anche forze sociali contro le politiche di Governo e padronato.

 Per il 9 maggio prossimo è prevista una giornata nazionale di mobilitazione, con manifestazioni e presidi in tutte le regioni (a Roma si svolgerà un sit-in presso il Senato in concomitanza con la discussione parlamentare del provvedimento di legge “contro il lavoro”, ndr), un percorso costruito in previsione di un percorso di lotta che sfocerà in uno sciopero generale.

 E’ questa la decisione scaturita dall’incontro del 19 aprile scorso, a Firenze, fra la CUB e le altre forze del sindacalismo di base, all’interno di una campagna di informazione critica sulle manovre del governo, nata dall’esigenza di una risposta alla politica economica e sociale dell’attuale governo e delle manovre che si abbattono sui lavoratori salariati e sulle classi subalterne nel loro assieme.

 Una risposta che assieme ai sindacati di base coinvolga in modo aperto le forze sociali e territoriali che intendono opporsi alla politica del governo, nella realizzazione di iniziative di contrasto all’azione del governo e del padronato, con una campagna comune nei posti di lavoro e sul territorio, che in questo momento esprimono momenti di resistenza agli effetti della crisi.

 Anche un confronto fra le diverse organizzazioni del sindacalismo conflittuale, di base e indipendente per dar vita assieme alle forze sociali e territoriali disponibili a forme di mobilitazione che consentano di arrivare a uno sciopero generale comune e condiviso, che rappresenti un effettivo momento di contrasto e opposizione alle politiche del governo Monti-Napolitano e all’attacco padronale, con un’accentuazione dell’intensità e della radicalità dell’iniziativa sindacale in primo contro la “controriforma del lavoro”, l’attacco alle pensioni, alla sanità, al diritto alla casa e la questione degli “esodati”

 27 aprile 2012

Igiene ambientale. Rinnovato il contratto nazionale.

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RINNOVO CONTRATTO DI LAVORO FISE  IGIENE AMBIENTALE

Il  5 aprile 2012 Cgil-Cisl-Fiadel hanno firmato il rinnovo del Contratto di lavoro per l’igiene ambientale, arrivato dopo alcuni scioperi che, visti i contenuti del rinnovo, si sono rivelati inutili e dannosi per le tasche dei lavoratori.

L’accordo contiene un concentrato di nefandezze difficili da riscontrare in precedenti contratti anche di altri settori e si rivela come una resa incondizionata ai voleri dei padroni. I danni non finiscono con questa firma ma proseguiranno con un’appendice contrattuale che riguarderà l’obbligo al mantenimento del posto di lavoro in caso di passaggio di appalto, il mercato del lavoro e la democrazia sindacale.

Salario: Al 3°A è previsto un aumento medio di 45 € lordi per un totale di 1887 € nei 3 anni di validità del contratto  2011/2013. Al netto l’equivalente di una tazzina di caffè!!!

Contrattazione di secondo livello: Viene introdotto l’EGR (elemento di garanzia retributiva)di 150€ che assorbe il premio di qualità della prestazione e quello di produttività . Un importo nettamente inferiore a quello precedente.

Orario di lavoro: Confermate le 36 ore, le operazioni di indossare e togliere gli indumenti, farsi la doccia ecc. sono fuori dell’orario di lavoro. Viene allargata la possibilità per le aziende di utilizzare le settimane con orario ridotto e/o aumentato si può passare dalle 3 ore alle 50 ore max. con paga ordinaria. L’aumento della flessibilità consente notevoli  profitti alle aziende.

Lavoro straordinario: Confermate le 200 ore/anno. Precedentemente  le prime 26 ore avevano 15% maggiorazione e le altre 31%, ora le prime 50 il 15% le ore da 51 a 100 23% e le altre il 31%.

Lavoro notturno: Per i turni che inizino dopo le 4 l’orario diurno che prima era le 6 viene spostato alle 5 facendo risparmiare ai padroni un’ora di maggiorazione. 

Malattia: La perla del contratto!! Viene introdotta una MULTA di 15 € (detratti dall’EGR) fino ad esaurimento per  i primi 2 eventi di malattia che superino  12 gg. per anno solare, per i successivi la MULTA è di 35 €.

   L’ACCORDO SINDACALE

Latina. Le macerie della Midal.

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Da Latina Oggi

Lunedì 23 Aprile 2012 Latina 5

 

Si cercano le destinazioni dei soldi spariti e l’allocazione dei premi di produzione degli ultimi anni

 

Valanga Midal, altri fallimenti

 

Travolte ancora due società satellite dopo il crac del gruppo. L’inchiesta va avanti tra precisazioni e verifiche contabili procede inesorabile l’inchiesta sul caso Midal, uno dei peggiori crac dell’econo-

mia locale, certamente il più grave nel settore del commercio degli ultimi dieci anni.

Il fallimento del gruppo che fa capo a Rosanna Izzi e che è stato amministrato fino al 2010 da Paolo

Barberini miete aziende-vittima ogni giorno che passa. Dopo la dichiarazione di fallimento della

società madre, la Midal appunto, c’erano state altre tre dichiarazioni di fallimento dieci giorni fa e

venerdì la stessa sorte è toccata ad altre due società satellite; su una  terza sono in corso valutazioni. Il terremoto finanziario dunque è delle proporzioni ipotizzate sin dal primo momento: un blocco di circa 40 milioni di euro che ha travolto piccoli e grandi fornitori e ha mandato in mobilità quasi tutti

i dipendenti fino al riassorbimento nei supermercati aperti con i nuovi marchi Sigma Prime e  Conad.

I fallimenti decisi dal Tribunale in questi giorni colpiscono imprese che ruotavano nell’orbita del gruppo Midal, composto non solo da punti vendita ma anche da cellule dedite alla distribuzione e alla logistica, parte quest’ultima rilevata dal Consorzio Alliance. Molti elementi e passaggi dell’ultimo periodo di attività di Midal sono ancora pieni di ombre e interrogativi, fatti rilevare

dai consulenti incaricati dalla Procura di Latina di scandagliare i conti nell’ambito dell’inchiesta

che si muove attorno all’ipotesi di bancarotta fraudolenta. In pratica si sta cercando di capire se il

deficit di Midal è stato provocato dalla sottrazione indebita di somme dal bilancio della società e

dirottate su singoli soggetti; e con quali motivazioni formalmente accettabili, ma sostanzialmente illegittime se non illecite. L’indagine va avanti ormai da due mesi, ossia dal giorno stesso in cui

c’è stata la dichiarazione di fallimento del gruppo che lascia senza speranze molti creditori, alcuni

sono piccole aziende della zona che hanno effettuato forniture alimentari e di manutenzione ai supermercati M i d a l .

Le somme che avrebbero dovuto incassare non sono molto elevate ma capaci a loro volta di portare

al fallimento i titolari. Per questo motivo non è infondato ipotizzare che il terremoto Midal abbia prodotto modifiche e conseguenze molto importanti sul piccolo mondo economico della città di Latina.

 

E intanto è stata fissata per martedì l’udienza davanti al giudice del lavoro del Tribunale di Latina

per il ricorso proposto dai lavoratori del gruppo che non hanno accettato le condizioni del passaggio a Sigma Prime, perché «penalizzanti ». Si tratta di circa 30 persone che avevano chiesto fossero conservate le condizioni del contratto di lavoro in essere con Gusto Sidis, in quanto quelle  contenute nel nuovo contratto  Sigma Prime non riconoscevano i diritti acquisiti e gli orari.

Senza un accordo la rottura è stata inevitabile e il licenziamento senza successivo riassorbimento nei supermercati che poi hanno riaperto con altri marchi. I lavoratori, rappresentati dalla Flaica

hanno pertanto impugnato il licenziamento davanti al giudice del lavoro cui chiedono la reintegra con le condizioni che avevano in precedenza.

Un primo blocco di ricorsi verrà esaminato dopodomani, un altro in altra udienza fissata per giovedì

mattina. In questi mesi i lavoratori Flaica hanno anche dato vita ad un singolare iniziativa, «Dis Gusto Tour» per contestare i passaggi «non sempre chiari» che hanno portato al trasferimento dei

dipendenti da un’azienda all’altra «con perdita di molti diritti».

Molti di questi lavoratori erano infatti operatori del più importante supermercato del gruppo Midal, il «Gusto Sidis» del centro commerciale Le Torri.

Articolo 18. Non è una riforma, se passasse, sarebbe una resa.

 

Le modifiche proposte dal Governo

Disciplina in tema di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore

Sezione I – Disposizioni in materia di licenziamenti individuali

Art. 13

(Modifiche alla legge 15 luglio 1966, n. 604)

 

1. Il secondo comma dell’articolo 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente: “La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato.”. 2. Il prestatore di lavoro può chiedere, entro 15 giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno determinato il recesso: in tal caso il datore di lavoro deve, nei sette giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto.

 

2. Al secondo comma dell’articolo 6, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dall’articolo 32, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183, la parola “duecentosettanta” è sostituita dalla seguente: “centottanta”. 2. L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso.

 

3. Il termine di cui al comma 2 trova applicazione in relazione ai licenziamenti intimati dopo la data di entrata in vigore della presente legge.

 

4. L’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:

“Ferma l’applicabilità, per il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, dell’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, seconda parte, della legge 15 luglio 1966, n. 604, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla legge recante “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita’, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.

Nella comunicazione di cui al primo comma, il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.

La Direzione territoriale del lavoro convoca il datore di lavoro e il lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l’incontro si svolge dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile.

Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro.

La procedura di cui al presente articolo, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della Commissione di cui al comma 3, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro, fatta salva l’ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore.

Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, trova applicazione l’articolo 23, comma 2, della legge recante “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” e può essere previsto, al fine di favorirne la 17    

ricollocazione professionale, l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia di cui all’articolo 4, primo comma, lettere a) e b), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di Commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’articolo 18, comma ottavo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e per l’applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile.”.

 

Art. 7

1. Quando il prestatore di lavoro non possa avvalersi delle procedure previste dai contratti collettivi o dagli accordi sindacali, può promuovere, entro venti giorni dalla comunicazione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento, il tentativo di conciliazione presso l’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione.

2. Le parti possono farsi assistere dalle associazioni sindacali a cui sono iscritte o alle quali conferiscono mandato.

3. Il relativo verbale di conciliazione, in copia autenticata dal direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, acquista forza di titolo esecutivo con decreto del pretore.

4. Il termine di cui al primo comma dell’articolo precedente é sospeso dal giorno della richiesta all’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione fino alla data della comunicazione del deposito in cancelleria del decreto del pretore, di cui al comma precedente o, nel caso di fallimento del tentativo di conciliazione, fino alla data del relativo verbale.

5. In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione di cui al primo comma le parti possono definire consensualmente la controversia mediante arbitrato irrituale.

 

Art. 14

(Tutele del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo)

1. All’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 sono apportate le seguenti modifiche:

a) la rubrica (Reintegrazione nel posto di lavoro.) è sostituita con la seguente: “Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo”;

b) i commi dal primo al sesto sono sostituiti dai seguenti:

“Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell’articolo 35 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale.

Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell’indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, perché il fatto contestato non sussiste o il lavoratore non lo ha commesso ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non potrà essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest’ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d’ufficio alla gestione corrispondente all’attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma.

Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.

Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all’articolo 2, secondo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, della procedura di cui all’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, o della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o sesto.

Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi dell’articolo 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustifico motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al sesto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo. Le disposizioni dal comma quarto al comma settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti ed all’impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti.

Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all’ottavo comma si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui al nono comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.

Nell’ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente articolo.”.

 

 

Ferme restando l’esperibilità delle procedure previste dall’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.

Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.

Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.

Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o l’invalidità stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.

La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva

2. Alla legge 4 novembre 2010, n. 183, articolo 30, comma 1, in fine, è aggiunto il seguente periodo: “L’inosservanza delle disposizioni di cui al precedente periodo, in materia di limiti al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro, costituisce motivo di impugnazione per violazione di norme di diritto”.

Art. 30.

(Clausole generali e certificazione del contratto di lavoro)

1. In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui all’articolo 409 del codice di

procedura civile e all’articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,

contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di

lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale e’

limitato esclusivamente, in conformità’ ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento del

presupposto di legittimità e non può’ essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni

tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente.    Sezione II – Disposizioni in materia di licenziamenti collettivi

Art. 15

(Modifiche alla legge 23 luglio 1991, n. 223)

1. All’articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, al secondo periodo, la parola: “Contestualmente” è sostituita dalle seguenti: “Entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi”.

2. All’articolo 4, comma 12, della legge 23 luglio 1991, n. 223, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Gli eventuali vizi della comunicazione di cui al comma 2 del presente articolo possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo”.

3. L’articolo 5, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223, è sostituito dal seguente: “Qualora il licenziamento sia intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui all’art. 18, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300. In caso di violazione delle procedure richiamate all’art. 4, comma 12, si applica il regime di cui al settimo comma del predetto articolo 18. In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui al quarto comma del medesimo articolo 18. Ai fini dell’impugnazione del licenziamento trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604

Riforma del lavoro o abbattimento dei diritti?

Lavoro: Monti dispotismo al servizio del capitale.

Il governo dei falsi tecnici con le decisioni assunte ieri ( martedì 20 marzo) in materia di lavoro spalanca le porte ai licenziamenti con le modifiche all’art.18, inganna i precari con misure che non cambiano la sostanza, disoccupati e precari rimarranno tali; riduce la possibilità di ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria  che viene sostituita dalla indennità di disoccupazione e centinaia di migliaia di lavoratori a cui sono state cambiate le regole che restano senza pensione e mobilità.

 L’ineffabile Fornero per giustificare il lavoro sporco che stanno facendo ha affermato che il mondo cambia e che non possiamo restare aggrappati alle conquiste del passato, ossia sostiene che il mondo cambia in peggio e che i lavoratori devono pagarne il costo.

 Questa vicenda conferma ancora una volta l’irrilevanza di Cgil-Cisl-Uil e Ugl rispetto alla tutela dei lavoratori, continuando a rimanere aggrappati a dei tavoli che li rendono complici delle politiche governative.

Nel contempo viene evidenziata per l’ennesima volta la sindrome di Stoccolma di cui sono prigionieri milioni di lavoratori  che rinunciano a lottare per impedire il massacro dei diritti in atto eppure i lavoratori possono contare su importanti organizzazioni sindacali di base  ( Cub ecc.) per organizzare una efficace azione di contrasto alle politiche di chi ha provocato la crisi ( gli agenti del capitale che gestiscono, banche, governi ecc.).

Monti, su incarico del Presidente della Repubblica e di partiti che ne sostengono l’azione,   ha il compito di completare il lavoro avviato dai vari governi succedutesi in Italia, la previdenza Pubblica e gli accantonamenti dei lavoratori per la vecchiaia in un colossale bancomat per il governo da cui prelevare per pagare speculatori, evasori, corruttori.

 La Sanità pubblica con i ticket costringe ammalati, disoccupati, precari e pensionati a rinunciare a curarsi. Con la tassa sulla prima casa ( Imu) si dovranno pagare mediamente circa 600 all’anno. A tutto questo si aggiunge l’aumento dei prezzi e i bassi salari.

 Il 31 marzo Manifestazione nazionale  a Milano corteo ore 14,00 da Piazza Medaglie D’Oro. Occupyamo Piazza Affari.

Vogliamo un diverso modello sociale ed economico in Italia e in Europa, fondato sul pubblico, sull’ambiente e sui beni comuni, per riconvertire il sistema industriale con tecnologie e innovazione, per la pace e contro la guerra, per lo sviluppo della ricerca sostenendo scuola pubblica e università, per garantire il diritto a sanità, servizi sociali e reddito per tutti, lavoro dignitoso, libertà e democrazia.

21 marzo 2012

Disabilità. Nuove disposizioni su congedi e permessi

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INPS: modifica alla disciplina in materia di congedi e permessi per l’assistenza a disabili in situazione di gravità

 L’INPS, con la circolare n. 32 del 6 marzo 2012, fornisce istruzioni operative in merito alle disposizioni introdotte dagli articoli 3, 4, e 6 del decreto legislativo  n. 119/2011.

In particolare:

  • l’articolo 3 modifica l’articolo 33, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, al fine di chiarire che il diritto al prolungamento del congedo, comunque entro il compimento dell’ottavo anno di vita del bambino, spetta alla madre lavoratrice o, in alternativa, al padre lavoratore, per ogni minore disabile in situazione di gravità per un periodo massimo non superiore a tre anni, comprendente i periodi di cui all’art.32 del d.lgs.151/2001. Inoltre, si prevede che il prolungamento del congedo spetta anche se il bambino è ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati se i sanitari chiedono la presenza del genitore;
  • l’art. 4 interviene sull’art. 42, comma 2, del decreto legislativo n. 151/2001 eliminando la condizione che imponeva la fruizione dei permessi  “successivamente al compimento del terzo anno di età del bambino con handicap in situazione di gravità”. Inoltre il medesimo art. 4, sostituendo il comma 5 dell’art. 42 del decreto legislativo n. 151/2001, ridefinisce la platea dei beneficiari e prevede un ordine di priorità tra gli stessi, in ossequio ai nuovi orientamenti assunti dalla Corte costituzionale in materia di soggetti legittimati a fruire del congedo straordinario. La novella stabilisce, altresì, che il congedo e i permessi di cui all’art. 33 della legge n. 104/92 non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona disabile in situazione di gravità (art. 42 sopracitato, comma 5-bis). Si chiarisce, inoltre, che l’indennità dovuta durante il periodo di congedo straordinario deve essere calcolata con riferimento alle voci fisse e continuative dell’ultima retribuzione (art. 42, comma 5-ter). Nel comma successivo, la nuova disposizione normativa precisa che i soggetti i quali fruiscono dei congedi straordinari per un periodo continuativo non superiore a sei mesi, hanno diritto ad usufruire  di permessi non retribuiti in misura pari al numero dei giorni di congedo ordinario che avrebbero maturato nello stesso arco di tempo lavorativo senza, però, il riconoscimento del diritto a contribuzione figurativa (art. 42, comma 5-quater). Infine, i periodi di congedo straordinario non rilevano ai fini della maturazione di ferie, tredicesima mensilità e trattamento di fine rapporto (art. 42, comma 5-quinquies).
  • l’art. 6 apporta modifiche all’art. 33, comma 3, della legge n. 104/92 restringendo la platea dei lavoratori dipendenti che hanno diritto a prestare assistenza nei confronti di più persone disabili in situazione di gravità. Introduce, inoltre, il comma 3-bis, prevedendo l’obbligo, per il dipendente che usufruisce dei permessi per assistere persona  residente in un comune situato a distanza superiore a 150 Km rispetto a quello di residenza del lavoratore, di attestare, con titolo di viaggio o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito.

La Circolare Inps numero 32 del 06-03-2012

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