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Appalti e sub appalti. Il Ministero chiarisce.

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Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha emanato la circolare n. 5 in materia di appalti e subappalti.

La circolare, tenuto conto del ricorso sempre più frequente a processi di esternalizzazione e della complessità della legislazione e delle fonti di riferimento in materia, effettua una ricognizione delle principali problematiche che gli operatori incontrano nel ricorrere all’appalto e fornisce indicazioni e chiarimenti in merito alla sua corretta gestione.
Tra le principali questioni affrontate, i criteri che qualificano un appalto come genuino, gli obblighi di carattere retributivo connessi all’utilizzazione dell’istituto, il valore degli appalti e i criteri di scelta dei contraenti, la responsabilità solidale tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori, il ricorso alla certificazione, la disciplina in materia di salute e sicurezza del lavoro.

 LA CIRCOLARE MINISTERIALE N. 5 DEL 11 FEBBRAIO 2011

Verona 1 marzo. Migranti in corteo.

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1 marzo 2011 Corteo a Verona alle 13,30

Da Piazza Toscana (Porta Vescovo)

 

Il Coordinamento migranti di Verona, il comitato immigrati in italia insieme al sindacato di base Cub e Cobas e al comitato primo marzo organizzano per martedì 1° marzo una manifestazione a Verona con partenza alle ore 13,30 da P.zza Toscana.

 

Dopo la rivolta degli immigrati a Rosarno a gennaio 2010 , la lotta del 01 marzo 2010, lo sciopero degli immigrati del 29 ottobre 2010 e le lotte di Brescia e di Milano riprendiamo una iniziativa a carattere nazionale con una manifestazione a Verona per martedì 1° marzo per tenere la guardia alta nei confronti di chi vuole far dimenticare la sanatoria truffa.

 

                                Rivendichiamo:

       Asilo politico ai rifugiati in fuga dalle guerre, dalla fame e dalle dittature.

Permesso di soggiorno per tutti quelli che hanno pagato per la sanatoria 2009

Diritto di voto agli immigrati che risiedono in Italia da più di 5 anni.

Cittadinanza ai nati in Italia.

Prolungamento del permesso di soggiorno per chi ha perso il lavoro.

Contro il ritardo del consegno del permesso di soggiorno.

Diritto alla casa, all’istruzione, alla sanità, al reddito per tutti.

 

Coordinamento Migranti di Verona

Inf:  0458030948, 3894904270, e-mail: coordinamentomigrantiverona@yahoo.it

 

Confederazione Unitaria di Base

Viale Lombardia, 20 – Milano

Tel 02.70631804 – cub.nazionale@tiscali.itwww.cub.itwww.cubvideo.it

Modulo

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Rimborso IVA - Flaica Lazio

RIMBORSO IVA

Emmelunga-Aiazzone. Ultimo atto.

Sembra una  farsa,  ma è una tragedia. Annunciata, temuta, contestata, con  tante pagine colegate di  sospetti, per la quali, ci risulta, la Magistratura penale è già al lavoro.

Era chiaro da tempo,  da quando Emmelunga aveva ceduto l’attività al gruppo Aiazzone, che gli spacchettamenti,  le scatole cinesi, i finti affitti, rispondevano ad un’altra logica in cui prevaleva  la finanza e la speculazione sulla tecnica commerciale. 

Vendere la merce disponibile e non rifornire i negozi,  passare all’incasso incurante del rapporto con la  clientela,  spremere i dipendenti senza pagarli,  presuppone un solo obbiettivo: arraffare quanto più possibile e scappare!

Peccato che  scappano solo i “padroni” verso  i cosiddetti paradisi fiscali.  Alle loro spalle lasciano i gravi effetti di un sistema permissivo verso i prepotenti e punitivo nei riguardi dei più deboli:  ottocento dipendenti rimasti senza salario da molti mesi, che avranno appena il TFR dal fondo di garanzia Inps, se non hanno fatto la sciagurata scelta della  “previdenza complementare”.

Proviamo a ostacolare il piano di fuga!

Hanno iniziato  dipendenti di Pomezia,  oggi,  dicendo basta e occupando i locali.  Lo hanno fatto  dopo aver  ricevuto la comunicazione del fallimento della HOLDING,  la disposizione dell’attuale affittuario, la PANMEDIA, di smettere la vendita per passare all’inventario e soprattutto un sonoro “niet” al pagamento delle tre mensilità arretrate oltre a 13^ e 14^.

Hanno bloccato tutto e chiedono la soluzione finale: attraverso la curatela fallimentare rimettere i negozi tutti insieme, affidandoli ad unico operatore di mercato che garantista affidabilità e prostettiva di rilancio dell’attività commerciale.

Contratti a termine e risarcimento. La Cassazione rinvia alla Corte Costituzionale

La Cassazione, con sentenza del 20 gennaio 2011, rimette alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzione dell’art. 35, commi 5 e 6 della Legge n. 183/2010 con riferimento agli artt. 3, 4, 24, 111 e 117 della Costituzione.

Nello specifico, la Suprema Corte dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativamente all’indennità prestabilita (fra 2,5 e 12 mensilità) da erogare, in virtù delle nuove disposizioni, al posto del risarcimento del danno.

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

 

Colf e Badanti. Cambiano paghe e contributi.

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Aggiornate le paghe dei lavoratori domestici dal 1 gennaio 2011. Con la stessa decorrenza aumentano anche i contributi dovuti all’Inps.

LA NUOVA TABELLA – DECORRENZA GENNAIO 2011

Trasporto merci, firmato il rinnovo contrattuale.

AutotrasportoRinnovato il CCNL Trasporto merci e logistica.

Peggiorano le condizioni di impiego dei lavoratori. Basti vedere, per  esempio, l’allungamento del periodo per stabilire la media dell’orario settimanale, l’ampliamento dei contratti a termine, la facilitazione per i trasferimenti del personale, la forzatura della legge per le  ferie durante il preavviso, ecc. , ecc. Ma non basta, perché  per le ferie matrimoniali bisogna prenotarsi e, ciliegina sulla torta,  il periodo di prova di un autista diventa di QUATTRO MESI!

Alla faccia della lotta al precariato. Per quattro mesi  l’autista può essere licenziato in qualsiasi momento senza motivo e senza penali!

E’ la fenomologia Marchionne?

  CCNL TRASPORTO MERCI 26 GENNAIO 2011

Democrazia sindacale. Un interessante intervento

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RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE: NODO GORDIANO IRRISOLTO.

 

Si è conclusa da pochi giorni la vicenda legata all’accordo relativo allo stabilimento torinese di Mirafiori e, tanto questa, quanto quella connessa all’accordo sulla fabbrica di Pomigliano d’Arco ancora una volta appalesano la necessità, tanto più impellente vista l’evoluzione del sistema di relazioni industriali, di definire un quadro di regole minime entro cui i soggetti sociali possano svolgere il proprio ruolo.

 

Invero, la caotica situazione determinatasi in quest’ultimi anni è figlia di un “peccato

originale” della nostra Repubblica: la perdurante disapplicazione del dettato dell’art. 39

Cost. Tale norma voleva essere la risposta dei nostri padri Costituenti a due problemi fra

loro intimamente connessi: l’efficacia dei contratti collettivi stipulati dai sindacati e la

natura stessa delle organizzazioni sindacali. Nel regime fascista, il problema venne risolto

alla radice, riconoscendo alle organizzazioni sindacali natura pubblicistica: il sindacato era

soggetto di diritto pubblico, ragion per cui gli atti da esso stipulati erano di natura

pubblicistica ed estendevano ipso iure la propria efficacia erga omnes.

 

In epoca repubblicana, il primo nodo che ci si trovò ad affrontare fu proprio il

mantenimento o meno della natura pubblicistica delle organizzazioni sindacali. Rispetto a

questo argomento, non fu affatto scontata la scelta di considerare i sindacati come soggetti di diritto privato e quindi rappresentativi degli interessi dei propri iscritti, proprio perché tale scelta impediva al contratto collettivo sottoscritto da un sindacato di estendere la propria efficacia nei confronti di tutti i lavoratori del settore interessato1. In effetti, la scelta adottata dall’Assemblea Costituente, cristallizzata nell’attuale art. 39 Cost., non fu affatto di rottura rispetto al passato regime e fu, piuttosto, una scelta a metà strada fra

l’organizzazione sindacale pubblica e l’associazione sindacale privatistica: pur non

impedendo ai lavoratori la costituzione di sindacati come associazioni di diritto privato,

riconducibili dunque in toto alla disciplina dettata dall’art. 36 e ss. Cod. Civ., si previde che

solo attraverso la registrazione di un sindacato – e dunque mediante un atto di natura

pubblicistica – gli accordi collettivi da questo sottoscritti sarebbero stati efficaci erga

omnes.

 

Tralasciando i motivi storici per cui ciò è accaduto, resta il fatto che tale dettato è rimasto

sino ad oggi inapplicato, determinando i successivi problemi cui il legislatore non ha mai

definitivamente posto mano, in primis la necessità di chiarire quando un contratto

collettivo sottoscritto solo da alcune sigle sindacali possa spiegare i propri effetti nei

confronti di tutti i lavoratori da esso interessati. È a questo nodo che, indissolubilmente si

lega quello della rappresentatività, ossia dell’effettiva capacità «unificatrice del gruppo

 

1 Tra i sostenitori dell’opzione pubblicistica si ritrova, ad es., Costantino Mortati. L’eminente giurista, a proposito della

soluzione adottata dalla nostra Costituzione riteneva che, in tal modo, i sindacati venissero inquadrati fra i soggetti di

diritto pubblico; essi, difatti, sosteneva il Mortati, realizzano «fini di elevamento dei lavoratori appartenenti alla

categoria rappresentata dal sindacato, ma contemporaneamente fini direttamente statali, se è vero che tale

elevamento è un preciso obbligo attribuito alla Repubblica» (C. Mortati, Il lavoro nella Costituzione, ne IL DIRITTO DEL

LAVORO, vol. XXVIII, Roma, 1954, pag. 196)

 

professionale o almeno di rilevanti frazioni di esso»2 da parte di un soggetto sindacale,

come unico criterio utile a stabilire quali sigle sindacali abbiano la capacità di sottoscrivere

accordi collettivi con simili effetti.

Lasciando inapplicato il dettato costituzionale, l’evoluzione del sistema di relazioni

industriali si è così avviata su un percorso di fatto, extra legem, garantita peraltro da un

contesto di sostanziale unità sindacale, rappresentato dalla prevalenza, per non dire

dall’esclusività, del sistema confederale.

 

La prima risposta del legislatore alla questione della rappresentatività viene data all’interno

dello Statuto dei Lavoratori approvato, com’è noto, con la L. 20 maggio 1970 n. 300, più

specificatamente con l’art. 19. La norma, nella sua formulazione originaria, riconosceva a

tutti i lavoratori il diritto di costituire, all’interno di un luogo di lavoro, una Rappresentanza

Sindacale Aziendale (RSA), purché collegata a sindacati aderenti alle confederazioni

maggiormente rappresentative sul piano nazionale ovvero ad altre organizzazioni sindacali

firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nella singola unità

produttiva. In tal modo, riprendendo lo spirito dell’art. 39 Cost., se da un lato veniva

riconosciuta a tutti i lavoratori la facoltà di esercitare i diritti sindacali, dall’altro, in

un’ottica di promozione dell’attività sindacale organizzata – con un particolare occhio di

riguardo alla realtà confederale, all’epoca fortemente predominante –, si previde che

determinate funzioni potessero essere esercitate solo da alcuni sindacati.

 

Il concetto di rappresentatività così come si è venuto affermando, è stato progressivamente messo in crisi dall’emergere del sindacalismo autonomo e dal tramonto

dell’unità del sindacalismo confederale3. Il segnale più evidente di tale crisi è stato dato

dalla parziale vittoria referendaria del giugno ’95, con cui è stato cambiato il volto dell’art.

19, sancendo che Rappresentanze Sindacali Aziendali possono, ora, essere costituite da

tutte le organizzazioni sindacali firmatarie di un contratto collettivo di qualsiasi livello,

purché applicato nell’unità produttiva.

 

La crisi dell’unità del sindacalismo confederale, le cui prime crepe possono farsi risalire al

famoso accordo di San Valentino sulla scala mobile del febbraio ’84, sembra essere

definitivamente sancita, oggi, dalla sottoscrizione separata dell’Accordo sulla riforma del

modello contrattuale nel gennaio 2009, e quindi dagli ultimi due accordi relativi agli

stabilimenti Fiat di Pomigliano d’Arco e di Torino – Mirafiori.

 

Emerge, quindi, un contesto, in cui il sistema sindacale confederale non può più appellarsi a criteri di rappresentatività “presunta”, ed in cui il medesimo sistema non è più unito al suo interno, rendendo per questo improbabile il raggiungimento di accordi sostanzialmente

unanimitari come nel passato ed aprendo la strada ai c.d. accordi separati, in cui è il criterio

 

2 Così G. Giugni, Diritto Sindacale, Bari, 1997, pag. 89.

3 In proposito, T. Treu parla di «duplice “contestazione”, interna ed esterna» che «mette in discussione lo stesso

fondamento del giudizio di rappresentatività» (T. Treu, Statuto dei lavoratori, pubblicato sul sito internet

www.giuffre.it, sezione “Biblioteca”).

 

maggioritario ad emergere con forza. C’è da chiedersi se, in un momento di crisi economica così grave, ci si possa permettere un sistema di relazioni industriali in cui alla fisiologica conflittualità fra parti opposte, si è aggiunta quella interna alle stesse parti trattanti. Tutto ciò renderebbe necessario un intervento normativo che sancisca l’effettiva

rappresentatività dei soggetti firmatari dell’accordo e garantisca, al tempo stesso,

l’esercizio dei diritti sindacali per tutti gli attori in campo. Un buon esempio in questa

direzione è stato già dato dalla normativa sul pubblico impiego del ’93, con cui si è prevista

l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi firmati dalle organizzazioni sindacali che,

singolarmente ovvero in coalizione rappresentino, considerato il dato associativo ed il dato

elettivo, la maggioranza dei lavoratori interessati dall’accordo.

 

Appare quindi necessario che, come già nel passato, il legislatore ponga nuovamente mano alla questione, con un nuovo intervento dal contenuto essenziale, rispettoso

dell’autonomia delle parti sociali – e per questo eventualmente sussidiario rispetto alle

possibili determinazioni di queste ultime –, che prenda atto della situazione creatasi negli

ultimi anni, consentendo di stipulare degli accordi da parte dei sindacati di volta in volta

maggioritari ed effettivamente rappresentativi degli interessi dei lavoratori, garantendo

però a tutti gli altri non sottoscrittori di poter continuare ad esercitare i diritti e le libertà

sindacali. Tale riforma, peraltro, per essere davvero incisiva, dovrebbe contemplare non

solo una novella del testo dell’art. 19 Stat. Lav., ma riguardare altresì l’art. 39 Cost. per la

parte rimasta totalmente disapplicata.

 

Il fatto che in Parlamento siano stati depositati, da parti politiche diverse, progetti di legge

convergenti in tale direzione (si vedano la P.d.L. n. 1872, presentata dal Sen. Pietro Ichino

ed altri, denominata “Codice dei rapporti sindacali. Modifiche al Libro V del Codice Civile”4

ovvero la P.d.L. costituzionale n. 3672, presentata dall’On. Giuliano Cazzola ed altri,

denominata “Modifiche dell’art. 39 della Costituzione in materia di rappresentanza e di

rappresentatività delle organizzazioni sindacali”5) lascia sperare che il legislatore possa

finalmente risolvere in tempi ragionevolmente brevi quest’esigenza troppo a lungo lasciata

disattesa.

 

Matteo Ariano

Funzionario ispettivo presso la DPL di Venezia

 

* Ai sensi della circolare del MLPS del 18 marzo 2004, le considerazioni contenute nel presente scritto sono

frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per

l’Amministrazione di appartenenza.

4 Particolare interesse rivestono l’art. 2064, intitolato “Rappresentanze sindacali aziendali”, in cui alcuni diritti

sindacali sono riconosciuti in proporzione ai consensi ricevuti nell’ultima consultazione elettorale e l’art. 2071,

rubricato “Contratto collettivo con efficacia generale”, in cui si raccorda il nuovo sistema disegnato dalla P.d.L.

alla’auspicabile riforma dell’art. 39 Cost.

5 Molto interessante è la ricostruzione storica effettuata dal relatore, il quale ricorda come già nel 1960, il prof. Giugni

scrivesse: «Il diritto del lavoro vive, in Italia, da più di dieci anni in una condizione di attesa, di “speranze deluse”:

attesa della legge sindacale, che, con l’applicazione del dispositivo costituzionale, sciolga il nodo gordiano dei mille e

più problemi nascenti dalla vita quotidiana delle istituzioni collettive».

Consorzio Agrario Latina. Ancora sacrifici per la ripresa.

Firmato l’accordo per  la proroga di sei mesi della CIGS .

Il 26 gennaio scorso è stato firmato l’accordo presso la Regione Lazio con l’Amministrazione controllata del Consorzio Agrario di Latina.

La concessione degli ulteriori sei mesi previsti dalla legge conferma la prospettiva del risanamento e scongiura l’ipotesi della liquidazione coatta amministrativa del Consorzio. Infatti  nelle procedure fallimentari,  la legge condiziona l’ulteriore periodo di  cigs solo se il Commissario prova che la  ripresa dell’attività produttiva è possibile in base a dati certificati.

Per i lavoratori ancora sacrifici, ma ora ne vale la pena.  

 L’ACCORDO

Contratto a termine: E’ sempre un’eccezione!

IL RAPPORTO DI LAVORO A TERMINE RAPPRESENTA SOLO UNA ECCEZIONE

ALLA REGOLA GENERALE CHE VEDE IL RAPPORTO DI LAVORO

ESCLUSIVAMENTE A TEMPO INDETERMINATO. PER L’ASSUNZIONE A TERMINE

IN SPETTACOLI RADIOTELEVISIVI E’ NECESSARIA LA “SPECIFICITA’”

DELL’OGGETTO DEGLI STESSI ED UN NESSO CON LA MANSIONE RICOPERTA

DAL LAVORATORE. IL CONTRATTO A TERMINE GENERA “PRECARIETA’” E

PREGIUDICA L’ESERCIZIO DEI DIRITTI TUTELATI DALL’ART. 21 DELLA

COSTITUZIONE. LA TENDENZA LEGISLATIVA VERSO UNA “FLESSIBILITA’” DEL

RAPPORTO DI LAVORO NON E’ UN PRINCIPIO GENERALE DEL NOSTRO

ORDINAMENTO GIURIDICO ATTESA LA CHIAREZZA DELLA NORMA CIRCA LA

PREVALENZA DEL RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO.

(Cass. Sezione Lavoro n. 23234 del 17 Novembre 2010)

 

Da sempre si è parlato del contratto a tempo determinato e della necessità che esso abbia, ai fini di una legittimità, il carattere della “straordinarietà”, “temporaneità” ed “eccezionalità”.

Gran parte di un Convegno, recentemente, è stato dedicato al contratto a termine specie alla luce delle rivoluzionarie disposizioni introdotte dalla legge 247/2007 (id: Accordo Governo – Parti Sociali) con quel “famigerato” ed irrazionale termine complessivo di durata (36 mesi) nel caso di reiterazione di contratti a termine tra gli stessi contraenti e,  principalmente, della ininfluenza della locuzione” ancorchè riferito all’ordinaria attività” il cui significato (id: possibilità di scelta imprenditoriale di assumere a termine anche se non ricorrono motivazioni che rendono necessariamente temporanea la prestazione) è stato, per la fattispecie del contratto di somministrazione, falcidiato con sentenze della Magistratura di merito e di Legittimità di segno contrario. Per non parlare, infine, della locuzione introdotta dalla medesima legge 247/2007 all’art. 1 del Decreto Legislativo 368/2001 per la quale” il contratto di lavoro, di norma, è a tempo indeterminato”.

E’ stato, dunque,  posto l’accento sulla funzione di tale tipologia di contratto all’interno del nostro Ordinamento Giuridico: una eccezione alla regola generale che vede il contratto di lavor , di norma, a tempo indeterminato.

 

La sentenza in commento è perciò importante per tre ordini di motivi:

 

a) evidenzia come un conflitto di lavoro si risolva con soluzione giudiziale in ben 12 anni con una pronuncia in sede di Corte di Cassazione. Sarà risolto con le disposizioni del Collegato Lavoro che indicano dei termini perentori per l’instaurazione di un giudizio e consentono, previa certificazione, l’apposizione di clausole  compromissorie per la devoluzione della controversia futura ad un collegio di arbitrato?

 

b) conferma, con un excursus straordinario, il carattere di eccezione del contratto a

termine rispetto a quello a tempo indeterminato e l’ininfluenza, ai fini interpretativi, di una ideologia che vorrebbe il rapporto di lavoro flessibile essendo la norma ben chiara;

 

c) di regola, la mancanza di stabilità lavorativa, è sintomo di “precarietà”.

 

E, per approfondire meglio la fattispecie alla luce della sentenza in commento, non si può  che esaminare il fatto storico.

Una lavoratrice è stata contraente di una serie di contratti a termine con la RAI, svolgendo mansioni di “decoratore”, dal 1996 al 1998 alla luce delle disposizioni ex legge 230/62 ed in particolare dell’art. 1, comma 2, lettera e) che consente l’apposizione di un termine di durata al contratto per “specifici programmi radiofonici e televisivi”.

Quale, allora, il motivo del contendere della lavoratrice nell’adire il Giudice del Lavoro chiedendo la declaratoria di illegittimità del termine apposto ai vari contratti? I programmi cui era stata adibita erano privi di “specificità” e non si evidenziava un nesso eziologico fra la sua specifica professionalità e le esigenze organizzative dei programmi.

Le richieste della lavoratrice vengono accolte nei due gradi di giudizio che riconducono ad un solo rapporto le prestazioni rese nel corso dei vari contratti a termine. La sentenza di I° grado viene emessa nel 2002 mentre quella d’appello nel 2006.

La RAI ricorre in Cassazione sia per violazione di legge ma anche per la tendenza, in sede legislativa, a favorire la flessibilità del rapporto di lavoro della qual cosa i Giudici di merito non ne avrebbero tenuto conto.

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza N. 23234 del 17 novembre 2010, respinge il ricorso. In primis, gli Ermellini ribadiscono che la fattispecie del contratto a termine è disciplinata da una legge (id: legge 18/4/1962 n. 230) abbastanza chiara nel porre, all’art. 1, come regola generale il rapporto a tempo indeterminato e solo come eccezione quello a tempo determinato.

Non ha, quindi, alcun pregio giuridico il riferimento alla tendenza alla flessibilità del rapporto di lavoro da parte del potere legislativo che resta solo come un dato ed una affermazione ideologica non potendo nemmeno assurgere a principio generale dell’ordinamento giuridico ai fini della interpretazione della norma in quanto questa è ampiamente chiara nel definire il contratto a tempo indeterminato come regola e quello a termine come eccezione a condizione che si verifichino alcuni presupposti tassativamente elencati dalla norma stessa.

Trattandosi, poi, nella fattispecie di un “lavoro artistico”, il ruolo di eccezione del contratto a

termine è ancora più giustificato dalla tutela che l’art. 21 della Costituzione assegna a tale attività donde un sistema di “flessibilità” produrrebbe “precarietà” ed “instabilità” a scapito della tutela che tali attività ricevono dalla norma costituzionale citata.

Ancora più nel merito dell’apposizione corretta del termine in contratti di lavoro aventi ad oggetto prestazioni in spettacoli televisivi e radiofonici, la Corte di Cassazione ribadisce la sussistenza di elementi e caratteristiche di legittimità del contratto:

a) che il rapporto si riferisca ad una esigenza di carattere temporaneo della programmazione televisiva o radiofonica, da intendersi non nel senso della straordinarietà o occasionalità dello spettacolo (che ben può essere anche diviso in più puntate e ripetuto nel tempo), bensì nel senso che lo stesso abbia una durata limitata nell’arco di tempo della complessiva programmazione fissata dall’azienda, per cui, essendo destinato ad esaurirsi, non consente lo stabile inserimento del lavoratore nell’impresa;

b) che il programma, oltre ad essere temporaneo nel senso sopra precisato, sia anche caratterizzato dalla atipicità o singolarità rispetto ad ogni altro evento organizzato dall’azienda nell’ambito della propria ordinaria attività radiofonica o televisiva, per cui, essendo prodotto di caratteristiche idonee ad attribuirgli una propria individualità ed unicità (quale species di un certo genus) lo stesso sia configurabile come un momento episodico dell’attività imprenditoriale e, come tale,

rispondente anche al requisito della temporaneità; c) che, infine, l’assunzione riguardi soggetti il cui apporto lavorativo si inserisca, con vincolo di necessità diretta, anche se complementare e strumentale, nello specifico spettacolo o programma, sicché non può ritenersi sufficiente a giustificare l’apposizione del termine la semplice qualifica tecnica o artistica del personale, richiedendosi che l’apporto del peculiare contributo professionale, tecnico o artistico del lavoratore sia indispensabile per la buona realizzazione dello spettacolo, in quanto non sostituibile con le prestazioni del personale di ruolo dell’azienda.

Con il Decreto Legislativo N. 368/2001 con le integrazioni e modificazioni apportate dalla legge 247/2007 nulla è mutato relativamente alla circostanza che nel nostro Ordinamento la regola generale vuole il contratto di lavoro normalmente a tempo indeterminato laddove apposizioni di termini di durata, al verificarsi di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo, sono e devono essere eccezioni.

Da qui la necessità che la prestazione oggetto del contratto a termine sia eccezionale, temporanea e straordinaria.

Ed è quanto abbiamo sempre sostenuto.

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