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Lavoro clandestino e contributi inps

OBBLIGO DI VERSAMENTO DELLA CONTRIBUZIONE INPS A CARICO DEL DATORE DI LAVORO CHE ABBIA OCCUPATO LAVORATORE EXTRACOMUNITARIO PRIVO DI PERMESSO DI SOGGIORNO. BREVE COMMENTO ALLA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE SEZ. LAV. N. 22559 DEL 5/11/2010.

VERSAMENTO CONTRIBUZIONE INPS PER LAVORATORE EXTRACOMUNITARIO. CORTE DI CASSAZIONE COMMENTO SENT. N. 22559 DEL 5/11/10

OBBLIGO DI VERSAMENTO DELLA CONTRIBUZIONE INPS A CARICO DEL DATORE DI LAVORO CHE ABBIA OCCUPETO LAVORATORE EXTRACOMUNITARIO PRIVO DI PERMESSO DI SOGGIORNO. BREVE COMMENTO ALLA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE SEZ. LAV. N. 22559 DEL 5/11/2010.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22559 del 5/11/2010, ribadendo l’orientamento già espresso con la sentenza n. 7380/2010, ha statuito che il datore di lavoro che stipuli un contratto di lavoro con un lavoratore extracomunitario, privo del permesso di soggiorno, ha l’obbligo di versare i contributi Inps in relazione alle retribuzioni dovute, a nulla valendo invocare la condizione di clandestino, propria del lavoratore.
La vicenda prende avvio dalla impugnazione promossa da un imprenditore avverso un avviso di accertamento emesso dall’Inps per omissioni contributive a fronte di prestazioni lavorative rese da lavoratori extracomunitari privi del permesso di soggiorno.
Rigettato il ricorso avverso il predetto verbale sia in primo che in secondo grado, il datore di lavoro ha adito la Corte di Cassazione, sostenendo che doveva dirsi preclusa all’Inps la possibilità di recuperare in via coattiva la contribuzione essendo, a suo dire, esclusa la regolarizzazione contributiva a fronte del divieto di stipulare contratti di lavoro con extracomunitari clandestini.
La Corte di Cassazione, richiamando il proprio precedente giurisprudenziale, ha precisato che se è pur vero che il contratto di lavoro stipulato con il lavoratore privo del permesso di soggiorno è un contratto in violazione della legge in materia di immigrazione (art. 22, comma dodicesimo, Dlgs 286/1998), tuttavia tale illegittimità non comporta il venir meno del diritto del lavoratore alla retribuzione (e, di qui, alla contribuzione) per il lavoro eseguito, secondo le indicazioni dell’art. 2126 cc.
Del resto, tale conclusione, prosegue la Suprema Corte, è coerente con la razionalità complessiva del sistema, atteso che diversamente ragionando si consentirebbe a chi viola la legge sulla immigrazione di fruire di condizioni più vantaggiose rispetto a quelle, cui è soggetto il datore di lavoro che rispetta la legge.
Ne discende che il datore di lavoro che impieghi lavoratori extracomunitari in violazione della legge sulla immigrazione, oltre ad incorrere nella sanzione penale, è tenuto al pagamento della contribuzione all’Inps, quale obbligazione derivante dell’instaurato rapporto di lavoro.
Avv. Emanuela Manini

05-11-2010 – Cassazione civile, sez. lavoro, n. 22599/2010 del 05.11.2010

I CONTRIBUTI INPS SONO DOVUTI ANCHE PER I LAVORATORI CLANDESTINI

L’azienda è tenuta a versare i contributi INPS per i lavoratori extracomunitari clandestini.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n 22559 del 5 novembre 2010 che, ribadendo un orientamento già inaugurato con la sentenza n. 7380 del marzo 2010, ha statuito: “In tema di prestazioni rese da lavoratori extracomunitari privi del permesso di soggiorno, l’illegittimità del contratto per la violazione delle norme imperative del testo unico sull’immigrazione, non esclude l’obbligazione retributiva e contributiva a carico del datore di lavoro. Ne consegue che è perfettamente legittimo il verbale con il quale l’INPS richiede i contributi per i lavoratori extracomunitari impiegati senza permesso di soggiorno, dal momento che il reato di aver favorito la permanenza di clandestini nel territorio dello Stato non impedisce l’emersione degli effetti propri del contratto di lavoro e l’obbligo di pagare i contributi evasi”.

Contratti “Pirata”. C’è un limite a tutto!

Cinque euro l’ora? Paga incostituzionale

Il tribunale di Torino ha dichiarato il contratto Unci lesivo della dignità

Il giudice: il contratto Unci viola la dignità della persona

Negli ultimi anni Manuela ha lavorato per otto ore al giorno in fabbrica, collaudando compressori e facendo la magazziniera. Il suo collega ha lavorato le stesse ore, gomito a gomito, collaudando compressori e facendo il magazziniere. Ma mentre lui portava a casa uno stipendio decente, lei a fine mese si doveva accontentare di una paga infima: 840 euro lordi, circa 600 netti.

 Perché? Semplice: Manuela era socia di una cooperativa, la Coop 2000, che applica il contratto Unci-Cnai. Significa niente quattordicesima, tredicesima ridotta all’osso, ferie e straordinari al lumicino. La domenica non c’è alcuna maggiorazione. Idem se si lavora di notte invece che di giorno. Così Manuela ha lavorato per anni a 4,86 euro all’ora.

 Una paga da fame. Tanto che ora il tribunale del lavoro di Torino ha dichiarato quel contratto lesivo della dignità della persona. Violerebbe infatti l’articolo 36 della Costituzione che dice: «Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».

Una sentenza importantissima perché il contratto Unci è a tutti gli effetti un contratto collettivo. L’Unione nazionale delle cooperative italiane firma questo genere di contratti con sigle sindacale sconosciute alla maggior parte dell’opinione pubblica (Confsal, Cisal, Fesica, Cnai) ma che hanno pari dignità da quando una legge ha previsto che i Ccnl non debbano più per forza essere firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi, ma possano esserlo anche da quelli comparativamente rappresentativi a seconda del settore lavorativo.

 Contratti diventati «famosi» nel mondo sindacale. Con i loro stipendi stracciati si aggiudicano tutti gli appalti al massimo ribasso». La Coop 2000 aveva vinto quello alla Abac, multinazionale che nello stabilimento di Manuela contava circa 600 lavoratori. Ma il contratto Unci, soprattutto in settori come quello della logistica, si sta diffondendo in fretta.

 Il tribunale di Torino ha condannato la cooperativa a liquidare a Manuela 8851,21 euro per gli anni arretrati.

 Ma come si calcola se uno stipendio è dignitoso? «Il giudice del lavoro Mauro Mollo ha compiuto una corposa ricerca facendosi consegnare dal Cnel tutti i contratti collettivi siglati per il settore logistica – spiegano gli avvocati Ernesto e Fausto Raffone, che hanno seguito Manuela nella causa – Dalla comparazione è emerso che il contratto Unci era inferiore del 35%. Un evidente e immotivata disparità. Il giudice, pur non intaccando il diritto di sigle sindacali meno rappresentative a firmare contratti collettivi, ha ritenuto la parte economica del contratto Unci incompatibile con la dignità del lavoratore».

La Stampa 29/10/2010

SENTENZA N. 3818 2010 – Tribunale Torino – pubblicata il 10-11-2010

Lavoratori in cigs o mobilità.

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Tirocini formativi presso il Tribunale di Latina

Scadenza per la presentazione delle domande 21 dicembre 2010

BANDO TRIBUNALE DI LATINA

Collegato lavoro: una legge contro i precari

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ll 9 novembre 2010 è stata pubblicata sul Supplemento ordinario n. 243 della Gazzetta Ufficiale n. 262 la legge n. 183, “collegato lavoro”, che entrerà in vigore il 24 novembre p.v. .

LAVORATORI PRECARI
Fino ad ora, era possibile impugnare dal Giudice i contratti di lavoro precario di qualsiasi tipo (a termine, a somministrazione o interinale, a progetto ecc.), che presentassero illegittimità formali e sostanziali e chiederne la trasformazione in contratti di lavoro a tempo indeterminato, in qualsiasi tempo successivo alla data di scadenza del contratto stesso.
Unico limite era quello della normale prescrizione, tra l’altro neppure invocabile nel caso di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, secondo i principi generali del nostro ordinamento che escludono la prescrizione per le azioni di nullità, anche se va detto che in questi casi la giurisprudenza individuava, in genere, nella mancata attivazione del diritto di impugnazione nell’arco di tre o quattro anni a partire dalla fine del contratto, una sorta di accettazione della sua  risoluzione per “mutuo consenso”.  

Ora con l’introduzione della nuova legge, se non si impugnano i contratti da precari entro 60 giorni dalla fine del lavoro, non è più possibile chiederne la trasformazione, da tempo determinato a indeterminato.

Oltre a questa decadenza, la nuova legge, ne pone, poi, una ulteriore: decorsi i 60 giorni dalla impugnazione, essa perderà effetto se entro i successivi 270 giorni non verrà depositato il ricorso davanti al giudice.
Questo può apparire un lasso di tempo sufficiente, ma può non esserlo quando risulti difficile raccogliere gli elementi necessari ad impugnare ad esempio falsi trasferimenti di rami d’azienda, o conoscere comunque tutte le circostanze utili ad una piena difesa. Ciò è tanto vero che, in precedenza, la legge consentiva, persino nel caso di licenziamento per il quale doveva esser fatta l’impugnazione nei 60 giorni, di iniziare poi la causa nell’arco dei 5 anni successivi.

LA PENALE PER NULLITA’ DEL TERMINE 
Altro regalo del Governo ai padroni è quello che mentre oggi quando il giudice accertava la nullità del termine o della somministrazione e ordinava al padrone di lavoro, di riammettere il lavoratore in servizio, liquidava a favore del dipendente anche le retribuzioni maturate dalla data di procedura del ricorso legale, sino a quella della sentenza.
Adesso il danno è prefissato dalla legge da un minimo di 2,5 mesi ad un massimo di 12, importo che può anche essere ridotto ad un massimo di 6 mesi in caso di accordo sindacale che preveda la stabilizzazione del rapporto.
Questa norma è retroattiva e si applica a tutti i giudizi in essere anche se pendenti in Appello e in Cassazione, con il risultato pratico che un lavoratore potrà vedere confermata la decisione di primo grado sulla trasformazione del rapporto di lavoro, ma dovrà restituire le somme eccedenti le 6 (o le 12) mensilità liquidate i primo grado.

LA DISCIPLINA TRANSITORIA PER IL PASSATO
La legge ha poi previsto che la sua applicazione ha valore anche  a tutti i contratti già cessati prima della data di entrata in vigore. Quindi per tutti i contratti a termine, di somministrazione, di trasferimento, di lavoro a progetto, di trasferimento d’azienda, che si siano conclusi prima dell’entrata in vigore della legge (24 novembre 2010) è infatti previsto un termine per impugnare di 60 giorni, e quindi entro il 23 gennaio 2011, trascorso il quale le cause non si potranno più fare.

Siamo quindi di fronte ad un gigantesco colpo di spugna, su tutte le irregolarità del passato poste in essere dai padroni, che ricevono questo gradito regalo da parte del Governo, anche per i livelli di informazione in essere e la scarsa sindacalizzazione, è assai difficile che i lavoratori siano informati ed in grado di reagire tempestivamente.

Numerosi lavoratori infatti alla scadenza del contratto di lavoro a termine, gli viene chiesto di aspettare qualche settimana che poi verranno richiamati al lavoro con un altro contratto a termine. Con questa manovra passati  60 giorni, non potranno più fare nulla.

Cosi come quei lavoratori che sono da anni precari, ed aspettano di essere confermati con un contratto a tempo indeterminato, ed ora se non impugnano, entro il 23 gennaio, tutti i contratti fino ad ora ricevuti, non potranno più farlo, e di conseguenza sarà come se lavorano da pochi mesi.

Precarietà del lavoro, “predicare bene e razzolare male”.

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Proteste di precari e lavoratori licenziati se ne vedono tutti i giorni. La notizia, però,diventa clamorosa se le proteste si svolgono di fronte alla sede centrale della Cgil e se hanno come protagonisti proprio i precari e i licenziati del sindacato guidato da Susanna Camusso. È quanto accaduto ieri a Roma.
 
UNA DELEGAZIONE del comitato dei precari e licenziati dalla Cgil – a distanza di cinque mesi dalle loro proteste nel corso del congresso nazionale Cgil di Rimini, durante il quale si erano incatenati per attirare l’attenzione- ieri mattina, ha manifestato davanti al quartier generale del sindacato in Corso d’Italia, chiedendo di incontrare la Camusso.
Il neo-segretario generale era assente, così i manifestanti sono stati ricevuti dal segretario confederale Enrico Panini: “Siamo in presenza di casi molto diversi gli uni dagli altri – ha spiegato Panini – ma la Cgil si attiverà per avviare dei rapporti fra le parti affinché vadano a buon fine”.
Le stesse parole che aveva usato a maggio dopo la protesta al congresso nazionale di Rimini. Soltanto sette persone (controllate a vista da quattro poliziotti e da due militari), nessun megafono, solo due cartelli con scritto: “Vergogna. Rovinato dalla Cgil di Catania. 13 anni in nero, 5 anni dopo licenziato”.

A scrivere lo striscione, appoggiato al bagagliaio di un’auto sotto la pioggia romana, è stato Giovanni Sapienza, 67 anni. Racconta che per 13 anni ha lavorato in nero per la Cgil di Catania: nel1998 è stato assunto dalla società di pulizie Alizzi (poi divenuta Novalux) a cui si rivolgeva l’organizzazione sindacale. Nonostante il cambio di società le mansioni di Sapienza rimasero le stesse: apertura-chiusura della sede Cgil, centralinista, portaborse dei dirigenti sindacali.
Dopo altri 5 anni decise di rifiutare lo stipendio in segno di protesta. Il suo vero datore di lavoro era la Cgil, così, Sapienza chiese al sindacato di rispettare i suoi diritti con l’assunzione e con il versamento di tutti i contributi previdenziali per gli anni passati. Cosa fece il sindacato? Cambiarono le serrature d’ingresso della sede dell’organizzazione impedendogli di entrare.

Dopo alcuni mesi ricevette la lettera di licenziamento della Novalux.
È servito a poco il tentativo di conciliazione presso l’Ufficio provinciale del lavoro: la Cgil non si è mai presentata. L’ultimo tentativo è stato il tribunale. Ma la sentenza, che sarebbe dovuta arrivare lo scorso primo ottobre, è stata posticipata ad aprile 2011. Sapienza chiede 263mila euro di risarcimenti: spese legali e 13 anni di contributi non versati. “Lo sapete cosa mi ha offerto invece la Cgil? – racconta Sapienza – Mille euro a titolo bonario”.

DI STORIE SIMILI a quella di Sapienza ce ne sono a decine, quelle che ieri si ascoltavano sotto la sede della Cgil erano soltanto un piccolo campione. C’è, per esempio, quella di Barbara Tundis entrata nella Cgil di Cetraro nel 2003 con il servizio civile: le è stato proposto di rimanere a lavorare nel sindacato con un contratto part-time, ma che difatto era un tempo pieno. Alla richiesta di maggiori diritti, è stata costretta a firmare una lettera di dimissioni già preparata. Invece Simona Micieli, ex precaria della Cgil calabrese (250 euro al mese, ne erano stati promessi almeno 700) ha fatto causa al sindacato per maltrattamenti.

Come è possibile che dentro un sindacato accadano questo genere di cose? Semplice:ai sindacati – in quanto associazioni non riconosciute,come i partiti politici – non si applica lo Statuto dei lavoratori. Il famoso articolo 18 dello Statuto considera nullo il licenziamento quando avviene senza giusta causa o giustificato motivo. La mancata attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, che prescrive una legge per la disciplina dell’attività sindacale, ha sempre permesso alle organizzazioni dei lavoratori – inclusa la Cgil– di operare in deroga, anche all’articolo 18. E quando i dipendenti dei sindacati vogliono protestare per avere tutela dei propri diritti, non sanno bene a chi rivolgersi, visto che in questo caso i sindacati sono parte del problema e non della soluzione. Anzi, sono proprio la controparte. Non è un problema da poco per Susanna Camusso, che il 3 novembre scorso, al momento dell’elezione a segretario generale della Cgil, ha innalzato il vessillo della legge sulla rappresentanza sindacale, chiesta da anni e sempre stralciata da un Parlamento alle prese con altre urgenze. La Camusso , secondo cui “il futuro deve essere dei giovani e del lavoro”, dovrà ora occuparsi anche di chi deve rappresentare, e tutelare, i suoi dipendenti.

Lavoratori della Cgil in lotta contro la Cgil che licenzia

Capire i tempi, mantenere i diritti.

L’accordo  firmato dalla Flaica Regionale presso l’Asp di Ciampino rappresenta  il viatico del nuovo sindacato per camminare sul sentiero della moderna società del lavoro, nella quale per svolgere un ruolo non è  necessario rinunciare  alla storia.

 L’antefatto risiede nella denuncia dell’accordo del 2006 da parte dell’Azienda Speciale Pluriservizi di Ciampino, con il quale la Flaica aveva ottenuto il riconoscimento dei primi tre giorni di malattia ai dipendenti delle mense scolastiche, che per il contratto nazionale di settore non sono retribuiti se l’assenza non supera i cinque giorni.

 

L’Azienda sosteneva che l’accordo del 2006 aveva determinato l’abnorme assenteismo per malattie brevi, difficili da sostituire, con grave pregiudizio per il servizio e notevole  aggravio dei costi.

 Nella  trattativa sono stati ribaditi i criteri della sana gestione dell’impresa, basati sul controllo dei costi, della produttività e del merito, senza per questo rinunciare ai diritti  conquistati nel tempo dai lavoratori.

 L’accordo, quindi, stimola la presenza al lavoro senza annullare il pagamento delle malattie brevi.  

ACCORDO SINDACALE 31 OTTOBRE 2010

Collegato Lavoro. Pubblicata la legge.

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E’ stata pubblicata, sul Supplemento Ordinario n. 243 della Gazzetta Ufficiale n. 262, la Legge n. 182/2010 (c.d. Collegato Lavoro).

La norma diventerà operativa dal 24 novembre 2010.

 

LEGGE N.182-2010         SCHEDE DI SINTESI

Istituito il portale pubblico per l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro.

 

Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha presentato il nuovo portale pubblico per il lavoro denominato Cliclavoro, “luogo di incontro virtuale” nato per migliorare l’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro.
Cliclavoro garantisce ai cittadini, alle imprese e agli operatori del “sistema lavoro” un accesso semplice e immediato a un catalogo completo e dettagliato di informazioni e favorisce la gestione dei servizi e degli adempimenti di legge, trasformando il possesso dell’informazione da parte delle istituzioni e degli enti in una risorsa per il sistema nel suo complesso.
Realizzato con la collaborazione di Regioni e Province, operatori pubblici e privati, offre un patrimonio informativo costituito dai dati forniti in modo costante dai sistemi pubblici per l’impiego e da oltre 200 siti web di soggetti privati e raccoglie tutte gli strumenti e i servizi offerti dal mercato del lavoro: dai curricula vitae e posti disponibili (vacancy) inseriti direttamente da cittadini, aziende o intermediari per agevolare i processi di incontro domanda-offerta di lavoro, a percorsi informativi modulati in base alle esigenze di cittadini e aziende, che permettono di orientarsi sulle principali tematiche legate al mondo del lavoro; dall’accesso integrato a tutti i servizi on line ( CO, UNIMARE, Flexi, Eures, Albo delle Agenzie per il lavoro, Prospetto informativo dei disabili alla banca dati percettori del reddito), ad una mappa che permette di localizzare il servizio al lavoro più vicino al proprio luogo di residenza.

Cassa integrazione e immediata disponibilità.

INPS: DID – dichiarazione di immediata disponibilità

 

L’INPS, con circolare n. 133 del 18 ottobre 2010, fornisce le istruzioni riepilogative in merito alle diverse funzionalità della dichiarazione di immediata disponibilità (DID) in relazione all’accertamento del diritto alle diverse prestazioni di sostegno al reddito nel quadro della normativa ordinaria e in deroga.

Sarà, quindi, necessario che il lavoratore sottoscriva, preventivamente, tale dichiarazione di disponibilità in assenza della quale percepirà nessuna delle prestazioni di sostegno al reddito collegate alla DID, né l’azienda è autorizzata a porre a conguaglio somme relative alle suddette prestazioni per il lavoratore in questione.
Circolare Inps numero 133 del 22-10-2010

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