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Assistenza in convenzione

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Min.Lavoro: criteri per la stipula di convenzioni per gli Istituti di Patronato

 

 

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha firmato, in data 14 dicembre 2009, il decreto che fissa i criteri generali per la stipula di convenzioni tra gli Istituti di Patronato e Assistenza Sociale e le Pubbliche Amministrazioni e gli Organismi Comunitari.
Tali convenzioni hanno ad oggetto attività di sostegno, informative, di assistenza tecnica e assistenza in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.  

 

prendi il  DECRETO MINISTERIALE

Roma e provincia. Istituita la family card

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  1. Family Card

La tessera gratuita che offre sconti e agevolazioni

CHE COS’ È

La FAMILY CARD è una tessera gratuita, emessa dalla Provincia di Roma, che offre sconti e agevolazioni alle famiglie, applicate direttamente dalle aziende e dai singoli esercenti commerciali che aderiscono all’iniziativa.  Il progetto, ideato per aiutare le famiglie penalizzate dalla crisi e dal caro-vita e in collaborazione con le principali associazioni di categoria (Confcommercio, Confesercenti, CNA, Confartigianato, Confcooperative e Legacoop), prevede una serie di sconti su prodotti commerciali, alimentari e non alimentari, servizi e intrattenimento.
Ogni tessera è nominativa, per essere utilizzata va esibita assieme ad un documento di riconoscimento ed è valida fino al 31 dicembre del 2011.


A CHI È RIVOLTA

La FAMILY CARD è riservata alle famiglie residenti nel territorio della Provincia di Roma composte da:

  • uno/due genitori e due figli con reddito familiare annuale fino a € 40.000;
  • uno/due genitori e tre figli con reddito familiare annuale fino a €  50.000; dopo il terzo figlio, per ogni figlio in più, il tetto di reddito annuale familiare aumenta di € 5.000.
  • persone ultra 65enni con reddito annuale fino a € 15.000;
  • persone non autosufficienti a carico del nucleo familiare con reddito fino a € 50.000.

COME RICHIEDERLA

Per richiedere la FAMILY CARD è necessario presentare  l’apposito MODULO 
È possibile reperire informazioni e relativi moduli anche presso i Servizi Sociali dei Municipi di Roma e dei Comuni della Provincia e presso le sedi delle Associazioni del Terzo Settore aderenti al progetto.
Il modulo, debitamente compilato, cui va allegata la fotocopia di un documento di riconoscimento, deve essere spedito al seguente indirizzo:

PROVINCIA DI ROMA
Dipartimento Servizi Sociali – UFFICIO FAMILY CARD
Via di Villa Pamphilij n° 84 – 00152 Roma

oppure al numero di Fax: 06/67664502

 ELENCO ATTIVITA’ COMMERCIALI NELLA PROVINCIA

ELENCO ATTIVITà COMMERCIALI NEL COMUNE DI ROMA

Diritto di cittadinanza

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Concessione della cittadinanza

Concessione della cittadinanza italiana a cittadini stranieri coniugati con italiani e a cittadini stranieri residenti in Italia

PER MATRIMONIO CON CITTADINO ITALIANO  (Articolo 5 della Legge 91/92 e successive modifiche e integrazioni)

La cittadinanza, ai sensi dell’articolo 5 della legge 5 febbraio 1992 n. 91 e successive modifiche e integrazioni, può essere concessa per matrimonio, in presenza dei seguenti requisiti:

  1. Il richiedente, straniero o apolide, deve essere coniugato con cittadino italiano e risiedere legalmente in Italia da almeno 2 anni dalla celebrazione del matrimonio
  2. Se i coniugi risiedono all’estero, la domanda può essere presentata dopo tre anni dalla data di matrimonio

Tali termini sono ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi.
Al momento dell’adozione del decreto di concessione della cittadinanza non deve essere intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e non deve sussistere la separazione personale dei coniugi. 
 

domanda Modello A

PER RESIDENZA IN ITALIA (Art. 9 della Legge 91/92 e successive modifiche e integrazioni)

La cittadinanza, ai sensi dell’articolo 9 comma 1 della legge 5 febbraio 1992 n. 91, e successive modifiche e integrazioni, può essere concessa:

  • Allo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi i casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni (art.9,c.1 lett.a)
  • Allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio italiano da almeno cinque anni successivamente all’adozione (art.9, c.1, lett. b)
  • Allo straniero che ha prestato servizio, anche all’estero, per almeno cinque anni alle dipendenze dello Stato italiano (art.9 c.1, lett.c)
  • Al cittadino di uno Stato U.E. se risiede legalmente da almeno quattro anni nel territorio italiano (art.9 c.1, lett.d)
  • All’apolide  e al rifugiato che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio italiano (art.9 c.1, lett.e) combinato disposto art.16 c.2) (*)
  • Allo straniero che risiede legalmente da almeno 10 anni nel territorio italiano (art.9 c.1, lett.f)

(*) Ai sensi dell’articolo 16, lo straniero riconosciuto rifugiato dallo Stato italiano è equiparato all’apolide ai fini della concessione della cittadinanza. 

Domanda Modello B

Riconoscimento della cittadinanza italiana in base a leggi speciali

Ai sensi dell’art. 1 della legge 379/2000 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.295 del 19/12/2000 è previsto il riconoscimento della cittadinanza italiana alle persone nate e già residenti nei territori dell’ex Impero Austro-ungarico ed ai loro discendenti , in possesso dei seguenti requisiti:

  • nascita e residenza nei territori facenti parte della provincia di Trento, Bolzano,Gorizia ed in quelli già italiani ceduti alle ex Jugoslavia in forza del Trattato di Pace di Parigi del 10/02/1947 e di Osimo del 10/11/1975
  • emigrazione all’estero prima della data del 16/07/1920
  • dichiarazione intesa ad ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana, da rendersi entro il 20/12/2010 davanti all’autorità diplomatico-consolare italiana se il richiedente risiede all’estero oppure davanti all’Ufficiale di stato civile del Comune se il richiedente risiede in Italia. La dichiarazione, unitamente a documentazione idonea a comprovare i requisiti di cui sopra, va trasmessa alla Commissione Interministeriale, istituita presso il Ministero dell’Interno, che esprime il proprio parere in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge.

Sulla Gazzetta Ufficiale del 28/03/2006 è stata pubblicata la legge 124/06 recante “Modifiche alla legge 91/92, concernenti il riconoscimento della cittadinanza italiana ai connazionali dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia e ai loro discendenti”.
La suddetta normativa prevede il riconoscimento della cittadinanza italiana ai soggetti che hanno perso il nostro status civitatis a seguito dei Trattati di Parigi del 10/02/1947 e di Osimo del 10/11/1975 nonché ai loro discendenti, in presenza dei seguenti requisiti:

(a) nell’ipotesi in cui all’art.17 bis comma 1 lettera a) della legge 05/02/1992 n.91

  • cittadinanza italiana e residenza nei territori ceduti alla ex Jugoslavia alla data di entrata in vigore dei Trattati di Parigi e di Osimo
  • perdita della cittadinanza italiana per effetto degli anzidetti Trattati
  • appartenenza al gruppo linguistico italiano

(b) nell’ipotesi di cui all’art. 17 bis comma 1 lettera b) della legge 05/02/1992 n.91

  • documentazione comprovante la diretta discendenza del richiedente dai soggetti di cui alla lettera a) e conoscenza della lingua e cultura italiane

L’istanza intesa ad ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana è presentata all’Autorità diplomatico-consolare italiana se il richiedente risiede all’estero oppure all’Ufficiale di stato civile del Comune se il richiedente risiede in Italia. In ambedue le ipotesi l’istanza, unitamente a documentazione idonea a comprovare i requisiti di cui sopra, va trasmessa alla Commissione Interministeriale, istituita presso il Ministero dell’Interno, che esprime il proprio parere in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge.

Contratto a Termine – Limite dei 36 mesi e periodo transitorio

 

Riferimenti normativi

–         art. 5,  D.Lgs 6/9/01, n. 368;

–         art. 1, comma 43, Legge 24/12/07, n. 247;

–         art. 21, D.L. 25/6/08, convertito dalla legge 6/8/08, n.133.

Applicabilità del limite di durata

L’art. 5, comma 4bis, del D.Lgs n. 368/01 prevede che “qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti i rapporti di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi(…) il rapporto si considera a tempo indeterminato”.

La norma si applica ai contratti a tempo determinato “puri”, cioè disciplinati direttamente dal D.Lgs 368/01 e non anche a quelli che vi fanno riferimento per diversi profili (per es. contratti di inserimento).

 Identità delle parti ed equivalenza delle mansioni.

Il limite di durata massima è applicabile con riferimento alle medesime parti del rapporto e per  “mansioni equivalenti”. Su tale aspetto  il Ministero del lavoro, con circolare n. 13/08 (che richiama le sentenze della Cassazione n. 425 del 12/1/06, n. 7453 del 12/4/05, n. 7351 dell’11/4/05), ha chiarito che l’equivalenza delle mansioni non deve essere intesa in termini di mera corrispondenza del livello di inquadramento contrattuale tra le mansioni svolte precedentemente e quelle contemplate nel nuovo contratto, ma occorre verificare i contenuti concreti delle attività espletate. Il Ministero richiama anche la sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite del 24/11/06, n. 25033 secondo cui: “l’equivalenza tra le  nuove mansioni e quelle precedenti deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni, considerate nella loro oggettività, ma anche come attitudine delle nuove mansioni a consentire la piena utilizzazione o anche l’arricchimento del patrimonio professionale del lavoratore acquisito nella pregressa fase del rapporto”.

 

Conteggio dei periodi di lavoro

Per il raggiungimento dei 36 mesi devono essere conteggiati tutti i periodi di lavoro svolto a prescindere dalla durata delle interruzioni tra un rapporto e l’altro. Le giornate che residuano dal mese vanno cumulate fino a 30 giorni. In  pratica bisogna raggiungere 1080 giornate.

 Ulteriore contratto stipulato presso la D.P.L.

Il limite di 36 mesi può essere superato a condizione che un solo, ulteriore contratto sia stipulato presso la Direzione Provinciale del Lavoro con il lavoratore assistito dal sindacato. L’avviso comune  del 10/4/08 tra  Confindustria e CGIL-CISL-UIL prevede una durata massima  di otto mesi di questo contratto.

 Deroghe

I contratti collettivi possono derogare i limiti dei 36 mesi e dell’ulteriore contratto.

Inoltre, la disciplina dei 36 mesi non opera:

–         per i rapporti di lavoro dei dirigenti  per i quali resta invariato il limite dei cinque anni;

–         per i rapporti con le Agenzie di Somministrazione;

–         per le attività stagionali.

 Disciplina transitoria

a)     I contratti a termine in corso al 1° gennaio 2008 continuano fino alla scadenza, anche se oltre i 36 mesi;

b)     il periodo di lavoro già effettuato al 1° gennaio 2008 si computa, insieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo dei 36 mesi, decorsi 15 mesi dal 1/1/08 (31/3/09).

Tale ultima previsione interessa  i contratti cessati entro il 31/12/07, poiché per quelli in corso al 1° gennaio 2008 trova applicazione la lettera a). L’attività lavorativa nei quindici mesi può continuare fino al 31 marzo 2009 anche se supera i 36 mesi. Anche quelli stipulati dal 1° gennaio 2008 in poi possono superare i 36 mesi purché cessino entro il 31/3/09.

SINTESI NORMATIVA

D. Lgs 368/2001

Corte costituzionale sentenza n. 214-09

Modulo domanda diritto di precedenza contratto superiore a 6 mesi

Modulo domanda diritto di precedenza contratto stagionale

Conversione del permesso di soggiorno per motivi familiari

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Conversione del Permesso di soggiorno per motivi familiari 

Il Ministero dell’Interno, con circolare n. 5715 del 15/9/09 chiarisce che il permesso di soggiorno per motivi familiari (ex art. 28 D.P.R. n. 334/04, in relazione all’art. 19 del D.Gls. 286/98), rilasciato ai cittadini stranieri che non possono essere espulsi, differisce dal permesso di soggiorno per motivi familiari di cui all’art. 30 del D.Lgs. n, 286/98 soltanto in base ai presupposti che lo hanno originato, assicurando al suo titolare gli stessi diritti e facoltà.

Pertanto, deve ritenersi ammessa la possibilità di conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato ed autonomo, per attesa occupazione, oppure per residenza elettiva, cos’ì come previsto dall’art. 14, comma 1, lett. d, e comma 3, D.P.R. n. 334/04 in presenza dei requisiti e delle condizioni stabilite.

Tale interpretazione consente di salvaguardare le posizioni di quei cittadini stranieri che, altrimenti, si vedrebbero preclusa la possibilità di permanere a soggiornare sul territorio nazionale a seguito delle modifiche introdotte con legge 15/7/09 n. 94 cd. “pacchetto sicurezza”.

prendi la: CIRCOLARE MINISTERIALE

Diritto di assemblea

Gestione del diritto di assemblea. Le ultime della Cassazione.

La  Corte di Cassazione con alcune decisioni relative al settore industriale (vedi Cass. n. 16936 del 2009 – e cfr Cass. n.16956 e n.16942 del 2009) ha confermato l’orientamento elaborato all’epoca dai giudici di merito su alcuni particolari aspetti riguardanti la gestione del diritto di assemblea disciplinato dall’articolo 20 della legge n. 300 del 1970.

In particolare, il giudice di legittimità ha ribadito che le convocazioni delle assemblee sindacali dei lavoratori durante l’orario di lavoro hanno l’attitudine di saturare la prevista quantità annuale di ore accordata mediante legge o contrattazione collettiva, indipendentemente dall’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori interessati.

Ciò comporta che il diritto di riunirsi in assemblea non si consumerebbe con l’effettiva presenza del singolo lavoratore, sicché, qualora le singole convocazioni abbiano raggiunto il limite delle 10 ore ne rimarrebbe azzerata anche la posizione dei dipendenti che, per qualsiasi ragione, non avessero esaurito il proprio monte ore.

 Inoltre la Corte di Cassazione si è pronunciata anche sulla regola dell’ordine di precedenza delle convocazioni delle assemblee effettuate dalle varie rappresentanze sindacali, stabilendo che la corretta applicazione dell’articolo 20 della legge n. 300 del 1970 richiede il rispetto del dato oggettivo, caratterizzato dall’effettiva convocazione dell’ assemblea medesima nonché dalla formale comunicazione al datore di lavoro (c.d. Criterio della prevenzione).

Pertanto, salvo eventuali intese tra le stesse organizzazioni sindacali aventi diritto notificate alla direzione aziendale, la regolare richiesta di assemblea retribuita durante l’orario di lavoro e la successiva convocazione dell’incontro, incide sul limite massimo orario stabilito dalla contrattazione collettiva (10 ore), con conseguente decurtazione proporzionale delle ore fruibili dalle altre sigle sindacali, le quali si potranno avvalere solo del periodo residuo (p.es. se la prima assemblea convocata da un determinato sindacato dura 3 ore, le successive convocazioni da parte delle altre organizzazioni sindacali aziendali dovranno basarsi su un limite di 7 ore), senza poter contare su propri specifici monte ore .

 Novembre 2009.

 Giurisprudenza diritto di assemblea

Apprendistato

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                                                                                                          Apprendistato.

Il rapporto di apprendistato deve considerarsi a tempo indeterminato e durante il suo decorso si applica agli apprendisti la tutela di legge  sui licenziamenti individuali.

 Lo chiarisce il Ministero del lavoro con:    L’INTERPELLO N. 79 del 12 novembre 2009

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