assemblea nazionale cub

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Appello all’unità.

Si può credere di volare mentre si è immobili  e pensare di avere coraggio allontanando  gli ostacoli. Può sembrare ipocrisia, ma è solo una questione di convenienza: disegnare con la fantasia la realtà che si desidera.

 

L’Assemblea di Milano del 9-11 ottobre prossimo cade nel momento peggiore della vita interna della CUB e rischia di essere, così com’è concepita, la fase finale di una competizione pericolosa,  tendenzialmente masochista. L’occasione,  indotta dalla contrapposizione interna, può   rendere  definitiva la rottura e l’argomento che resta da definire è  solo a chi dare la colpa.

 

Naturalmente, in base alla  metodologia della giustificazione, agli altri.

 

Non intendo fare polemica e neppure facile ironia, ma un ulteriore appello ad uscire dalla spirale in cui si è infilata l’Organizzazione, solo per una questione di primato. In questa logica l’Assemblea di Milano  è la risposta a quella di Rimini,  che pure non ha chiuso la porta alla proiezione unitaria.

 

Il risultato finale, se non si recupera l’unità interna, sarà la condanna al nanismo politico della CUB residua e la nascita di un ulteriore soggetto sindacale che, paradossalmente, pensato per ridurre la frammentazione  del fronte antagonista finirà  per aumentarla.

 

Nel pantano attuale la CUB c’è finita per conseguenza, non per contrasti nella visione di fondo.  Lo  scontro non è nato sulla  natura del sindacato alternativo, sull’autonomia dalla politica, sul ruolo nella società, sulla difesa dei lavoratori…  La diatriba è sorta su questioni di carattere statutario e di iniziativa politica, con interpretazioni e forzature reciprocamente arbitrarie e dissonanti.

 

Intanto, le spinte concorrenti stanno  generando una grande confusione all’interno, ma soprattutto all’esterno, dove la CUB paga un prezzo enorme in termini di immagine e credibilità. Adesso, se  esiste ancora il senso di responsabilità, c’è bisogno di fare tutti un passo indietro perché sarebbe folle buttare all’aria il lavoro di questi anni e  pensare che divisi si può essere più forti che uniti.

 

La divisione della CUB, prima di tutto, è contro l’interesse dei lavoratori e noi stiamo tradendo il mandato di coloro che in questi anni ci hanno dato fiducia. Quelli a cui abbiamo promesso da tanto tempo il grande sindacato di massa capace di recuperare i diritti perduti nel sistema delle connivenze tra confederali, partiti e padronato.

 

Sono contro gli schieramenti nel sindacato di base perché l’azione sinergica è la condizione essenziale per la crescita  del movimento. E nemmeno condivido la drammatizzazione del dissenso sulle questioni di vita organizzativa.  Si può anche non essere d’accordo, anzi, aumentiamo pure la discussione, ma per dirimere i contrasti ci sono le regole:  della democrazia, dell’etica e della morale, alle quali abbiamo tutti promesso fedeltà.  

 

Con questo spirito, mi annovero tra coloro che hanno chiesto ad RDB di non rompere i ponti con l’Assemblea di Rimini e continuano a credere  che bisogna anche evitare la situazione di non  ritorno che potrebbe determinare l’assemblea di Milano. So che potrei scontentare entrambi,  ma il problema non è una pacca sulla spalla se in gioco c’è la salvezza del patrimonio unitario della CUB. Comunque vada, alla fine sarò in pace con la mia coscienza, convinto  di aver fatto tutto il possibile per proteggere  il bene comune dai difetti della personalità.

 

Il passaggio è stretto e la situazione è disperata. Ma, come titolava un noto film di Alberto Sordi,  “Finché c’è guerra c’è speranza”. L’unica condizione che può affossare definitivamente la CUB è quella che l’Assemblea di Milano assuma decisioni statutarie o elettive, che oltretutto  sarebbero anche invalide.

 

La proposta è  che l’Assemblea di Milano, come quella di Rimini, diventi un momento di discussione e approfondimento allo scopo di determinare  le condizioni per arrivare a convocare in maniera concorde la vera  Assemblea Nazionale della CUB e riprendere il  cammino unitario verso  la costruzione del grande sindacato di massa atteso nel mondo del lavoro e nella società italiana.

 

Certo, c’è da chiarire di quale CUB si  parla. Se abbiamo cambiato idea o la pensiamo sempre allo stesso modo, perché l’ultima discussione era ferma allo schema del rilancio organizzativo senza grosse differenze sulla natura dell’Organizzazione.

 

Io penso alla CUB che conosco, la cui struttura portante è costituita dalle Federazioni di categoria, autonome e sovrane, che compongono ed alimentano il Soggetto confederale titolato alla gestione delle politiche generali.

 

Un diverso modello organizzativo sarebbe in contraddizione con la natura del sindacato di base, che trova la sua ragione d’essere nel protagonismo dei lavoratori, che si realizza con l’agire  in prima persona nella vita organizzativa, nell’azione sindacale e nella  gestione  delle loro risorse.

 

Il baricentro del sindacato di base non è nel primato degli apparati, ma è nel legame con i luoghi di lavoro, col territorio,  con la specificità dei gruppi e la coerenza delle idee.

 

Ciò non toglie che le singole categorie, in armonia con le Strutture primarie e nel rispetto della propria autonomia, non possano adattare il proprio modello organizzativo  alla loro peculiarità. Penso,  per esempio, agli edili, agli agricoli ed a quanti non hanno neppure la riscossione delle quote associative a mezzo delega o a quelli che le hanno già accentrate a livello nazionale.

 

Resta il problema dei costi di gestione delle Strutture di coordinamento per i quali si  dovrà certamente concorrere in modo proporzionale, equo e trasparente.

 

Ritengo pure ineludibile che ad ogni livello decisionale del sindacato valga sempre la prima regola della democrazia: una testa un voto, per chiunque abbia titolo ad esercitarlo.

 

Un Soggetto sociale  è per natura plurale e  deve riconoscere in sé il diritto di cittadinanza a tutte le componenti il ceto popolare. Ne deve assumere le istanze  e difenderne gli interessi, ma nella capacità operativa non può cedere identità, altrimenti si rischia che il movimento dei  lavoratori  sia rappresentato da non lavoratori! Non ci debbono essere “figli di un Dio minore”, ma gli equilibri vanno salvaguardati con  correttivi di  buon senso in base alle diverse sensibilità.

 

Non è Vangelo e tutto è discutibile, se la CUB tiene. Altrimenti dovremo prendere atto di aver corso per circa venti anni dietro un’illusione. Quella che ci fa credere di volare col coraggio della fantasia.

 

Lasciamo perdere la difesa  dell’orticello, le ripicche ed i rancori. Salviamo una buona  idea, salviamo la CUB.

                                                                                                    Amedeo Rossi

                                                                                 Segreteria Regionale Flaica del Lazio