Lo dice la Corte di Cassazione con la Sentenza 19 ottobre 2016, n. 21209.
Lavoro – Festività – Rifiuto di lavoro in un giorno festivo – Trattenuta sulla retribuzione – Non sussiste – Diritto di astenersi dall’attività lavorativa.
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Bergamo con sentenza n. 613/09 accoglieva la domanda proposta da un gruppo di dipendenti della D. spa di condanna della società datrice di lavoro a retribuire la festività dell’8.12.2005. La Corte di appello di Brescia con sentenza del 11.10.2010 rigettava l’appello della D.; la Corte territoriale ricordava che la giornata dell’8 dicembre rientrava ai sensi dell’art. 2 L. n. 260/49 (nel testo sostituito dalla legge n. 90/1954) tra le festività per le quali spettava il diritto ad astenersi dal lavoro o, in caso di effettuazione della prestazione, anche un compenso aggiuntivo; tale disposizione non può essere modificata in senso peggiorativo dalla contrattazione collettiva. Per la Corte territoriale non poteva condividersi, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, la tesi della parte appellante secondo la quale il lavoratore che non abbia svolto l’attività lavorativa durante la detta festività come nel caso in esame potrebbe rivendicare la normale retribuzione solo se la sua assenza sia dipesa da uno dei motivi indicati dalla disposizione, posto il carattere generale delle regola di diritto alla festività normalmente retribuita. Tale diritto non risultava inciso dall’art. 8 CCNL comma 14 parte speciale del CCNL per cui nessun lavoratore può rifiutarsi. Salvo giustificato motivo, di compiere lavoro straordinario, notturno e festivo”: il detto rifiuto non fa infatti perdere il diritto alla normale retribuzione attribuito direttamente dalla legge, ma semmai poteva dar luogo ad una sanzione disciplinare.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la D. con un motivo corredato da memoria; resistono le parti intimate con controricorso.
Motivi della decisione
Con il motivo proposto si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 della legge n. 260/49; della legge 31 marzo 1954, n. 90; degli artt. 1362, 1363, 1368, 1371 c.c. con riferimento all’art. 5 parte speciale sezione III co. 14 del CCNL del 7.5.2003 per l’industria metalmeccanica. Non spettava la richiesta retribuzione in quanto non vi era stata prestazione lavorativa avendo indebitamente i lavoratori intimati rifiutato di lavorare nonostante la previsione di cui all’art. 12 CCNL. Si trattava di un indebito rifiuto che paralizzava la pretesa al pagamento della prestazione lavorativa; il CCNL prevedeva la possibilità di richiedere la prestazione anche in caso di festività in cambio di numerosi trattamenti di miglior favore. La giurisprudenza di legittimità non aveva adeguatamente valutato il caso del lavoratore che non presta la propria attività lavorativa per sua espressa volontà, per giunta contraria alle previsioni della contrattazione collettiva.
Il motivo appare infondato; la sentenza impugnata ha deciso la controversia alla luce, come ammette la stessa parte ricorrente, della ormai consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità (Cass. n. 9176/997 – Cass/2004), che si condivide pienamente e cui si intende dare continuità secondo la quale il diritto del lavoratore di astenersi dall’attività lavorativa in caso di festività è pieno ed ha carattere generale e quindi non rilevano le ragioni che hanno determinato l’assenza di prestazione, peraltro stabilita per legge. Il trattamento economico ordinario deriva, come ha correttamente specificato già la Corte di appello, direttamente dalla legge e non possono su questo piano aver alcun rilievo le disposizioni contrattuali, la cui legittimità non rientra nel thema decidendum della presente controversia, che potrebbero avere, al più, un rilievo disciplinare. Non devono affrontarsi le considerazioni svolte sul ricorso circa lo “scambio” che sarebbe stato effettuato in sede contrattuale tra obbligo di svolgere il lavoro straordinario e trattamento di miglior favore in ordine a numerosi istituti sia perché il CCNL non è stato prodotto, né si è indicato l’incartamento processuale ove lo stesso sarebbe reperibile, sia perché non si ricostruisce come tali difese siano state introdotte nei precedenti gradi del giudizio.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso: le spese di lite – liquidate come al dispositivo – seguono la soccombenza in favore delle parti costituite, nulle nei confronti delle residue parti intimate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 4100,00 di cui euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge. Nulla nei confronti delle residue parti intimate.