SENTENZA DELLA CORTE
(Seconda Sezione) 10 giugno 2010 (*) «Direttiva 97/81/CE – Accordo quadro sul lavoro a
tempo parziale – Parità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale e
lavoratori a tempo pieno – Calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per
acquisire il diritto alla pensione – Esclusione dei periodi non lavorati –
Discriminazione» Nei procedimenti riuniti C‑395/08 e C‑396/08, aventi ad oggetto le domande di pronuncia
pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla
Corte d’appello di Roma con ordinanze 11 aprile 2008, pervenute in
cancelleria il 12 settembre 2008, nelle cause Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) contro Tiziana Bruno, Massimo Pettini (C‑395/08), e Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) contro Daniela Lotti, Clara Matteucci (C‑396/08), LA CORTE (Seconda Sezione), composta dal
sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dalla
sig.ra P. Lindh (relatore), dai sigg. A. Rosas,
A. Ó Caoimh e A. Arabadjiev, giudici, avvocato generale: sig.ra E. Sharpston cancelliere: sig.ra R. Şereş,
amministratore vista la fase scritta del procedimento e in seguito
all’udienza del 29 ottobre 2009, considerate le osservazioni presentate: – per
l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), dall’avv. A.
Sgroi; – per
la sig.ra Bruno e il sig. Pettini nonché per le sig.re Lotti e
Matteucci, dall’avv. R. Carlino; – per
il governo italiano, dalla sig.ra I. Bruni, in qualità di agente,
assistita dalla sig.ra M. Russo, avvocato dello Stato; – per
la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra C. Cattabriga e
dal sig. M. van Beek, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale,
presentate all’udienza del 21 gennaio 2010, ha pronunciato la seguente Sentenza
1 Le
domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione della
direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, relativa all’accordo
quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e
dalla CES (GU 1998, L 14, pag. 9). 2 Tali
domande sono state proposte nell’ambito di una serie di controversie nelle
quali l’Istituto nazionale della previdenza sociale (in prosieguo: l’«INPS»)
si contrappone alla sig.ra Bruno ed al sig. Pettini nonché alle
sig.re Lotti e Matteucci, in merito alla determinazione dell’anzianità
maturata ai fini del calcolo del diritto alla pensione. Contesto normativo Il diritto dell’Unione 3 L’art. 1
della direttiva 97/81 precisa che quest’ultima è intesa ad attuare l’accordo
quadro sul lavoro a tempo parziale concluso il 6 giugno 1997 tra le
organizzazioni intercategoriali a carattere generale, vale a dire tra
l’Unione delle confederazioni europee dell’industria e dei datori di lavoro
(UNICE), il Centro europeo dell’impresa pubblica (CEEP) e la Confederazione
europea dei sindacati (CES), riportato in allegato alla detta direttiva (in
prosieguo: l’«accordo quadro»). 4 Il
terzo ‘considerando’ della direttiva 97/81 così recita: «considerando che il punto 7 della Carta
comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori stabilisce tra
l’altro che “la realizzazione del mercato interno deve portare ad un
miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella
Comunità europea. Tale processo avverrà mediante il ravvicinamento di tali
condizioni, soprattutto per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal
lavoro a tempo indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a
tempo parziale, il lavoro temporaneo e il lavoro stagionale”». 5 Il
quinto ‘considerando’ della detta direttiva è così formulato: «considerando che le conclusioni del Consiglio
europeo di Essen hanno sottolineato la necessità di provvedimenti per
promuovere l’occupazione e la parità di opportunità tra donne e uomini e
hanno richiamato l’esigenza di adottare misure volte ad incrementare
l’intensità occupazionale della crescita, in particolare mediante
un’organizzazione più flessibile del lavoro, che risponda sia ai desideri dei
lavoratori che alle esigenze della competitività». 6 Il
ventitreesimo ‘considerando’ della stessa direttiva 97/81 così prevede: «considerando che la Carta comunitaria dei diritti
sociali fondamentali dei lavoratori riconosce l’importanza della lotta contro
tutte le forme di discriminazione, in particolare quelle basate sul sesso,
sul colore, sulla razza, sulle opinioni e sulle credenze». 7 I
primi due commi del preambolo dell’accordo quadro enunciano quanto segue: «Il presente accordo quadro è un contributo alla
strategia globale europea per l’occupazione. Il lavoro a tempo parziale ha
avuto, negli ultimi anni, importanti effetti sull’occupazione. Pertanto, le
parti firmatarie del presente accordo hanno dedicato un’attenzione
particolare a questa forma di lavoro. Le parti hanno intenzione di prendere
in considerazione la necessità di ricercare accordi analoghi per altre forme
di lavoro flessibili. Riconoscendo la diversità delle situazioni nei
diversi Stati membri e riconoscendo che il lavoro a tempo parziale è
caratteristico dell’occupazione in certi settori ed attività, il presente
accordo enuncia principi generali e prescrizioni minime relative al
part-time. Esso rappresenta la volontà delle parti sociali di definire un
quadro generale per l’eliminazione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori
a tempo parziale e per contribuire allo sviluppo delle possibilità di lavoro
a tempo parziale, su basi che siano accettabili sia per i datori di lavoro,
sia per i lavoratori». 8 Ai
fini delle cause principali vengono in rilievo le seguenti disposizioni
dell’accordo quadro: «Considerazioni generali (…) 5. considerando
che le parti firmatarie del presente accordo attribuiscono importanza alle
misure che facilitino l’accesso al tempo parziale per uomini e donne che si
preparano alla pensione, che vogliono conciliare vita professionale e
familiare e approfittare delle possibilità di istruzione e formazione per
migliorare le loro competenze e le loro carriere, nell’interesse reciproco di
datori di lavoro e lavoratori e secondo modalità che favoriscano lo sviluppo
delle imprese; (…) Clausola 1:
Oggetto Il presente accordo quadro ha per oggetto: a) di assicurare
la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo
parziale e di migliorare la qualità del lavoro a tempo parziale; b) di facilitare
lo sviluppo del lavoro a tempo parziale su base volontaria e di contribuire
all’organizzazione flessibile dell’orario di lavoro in modo da tener conto
dei bisogni degli imprenditori e dei lavoratori. (…) Clausola 3:
Definizioni Ai fini del presente accordo si intende per: 1) “lavoratore a
tempo parziale”, il lavoratore il cui orario di lavoro normale, calcolato su
base settimanale o in media su un periodo di impiego che può andare fino ad
un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile; 2) “lavoratore a
tempo pieno comparabile”, il lavoratore a tempo pieno dello stesso
stabilimento, che ha lo stesso tipo di contratto o di rapporto di lavoro e un
lavoro/occupazione identico o simile, tenendo conto di altre considerazioni
che possono includere l’anzianità e le qualifiche/competenze. Qualora non esistesse nessun lavoratore a tempo
pieno comparabile nello stesso stabilimento, il paragone si effettuerebbe con
riferimento al contratto collettivo applicabile o, in assenza di contratto
collettivo applicabile, conformemente alla legge, ai contratti collettivi o
alle prassi nazionali. Clausola 4:
Principio di non discriminazione 1. Per quanto
attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono
essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno
comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un
trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive. 2. Dove
opportuno, si applica il principio “pro rata temporis”. 3. Le modalità
di applicazione della presente clausola sono definite dagli Stati membri e/o
dalle parti sociali, tenuto conto della legislazione europea e delle leggi,
dei contratti collettivi e delle prassi nazionali. 4. Quando
ragioni obiettive lo giustificano, gli Stati membri, dopo aver consultato le
parti sociali conformemente alla legge, ai contratti collettivi o alle prassi
nazionali, e/o le parti sociali possono, se del caso, subordinare l’accesso a
condizioni di impiego particolari ad un periodo di anzianità, ad una durata
del lavoro o a condizioni salariali. I criteri di accesso dei lavoratori a
tempo parziale a condizioni di impiego particolari dovrebbero essere
riesaminati periodicamente tenendo conto del principio di non discriminazione
previsto alla clausola 4.1. Clausola 5: Possibilità di lavoro a tempo parziale 1. Nel quadro
della clausola 1 del presente accordo e del principio di non discriminazione
tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno: a) gli Stati
membri, dopo aver consultato le parti sociali conformemente alla legge o alle
prassi nazionali, dovrebbero identificare ed esaminare gli ostacoli di natura
giuridica o amministrativa che possono limitare le possibilità di lavoro a
tempo parziale e, se del caso, eliminarli; b) le parti
sociali, agendo nel quadro delle loro competenze [e] delle procedure previste
nei contratti collettivi, dovrebbero identificare ed esaminare gli ostacoli
che possono limitare le possibilità di lavoro a tempo parziale e, se del
caso, eliminarli. (…)». Il diritto nazionale Il decreto legislativo n. 61/2000 9 La
direttiva 97/81 è stata trasposta nell’ordinamento giuridico italiano con il
decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, recante attuazione della
direttiva 97/81/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale
concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GURI n. 66 del 20
marzo 2000). Ai sensi dell’art. 1 di detto decreto legislativo, nella
versione applicabile alle controversie di cui alla causa principale (in
prosieguo: il «decreto legislativo n. 61/2000»), si intende: «a) per “tempo
pieno” l’orario normale di lavoro di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto
legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o l’eventuale minor orario normale
fissato dai contratti collettivi applicati; b) per “tempo
parziale” l’orario di lavoro, fissato dal contratto individuale, cui sia
tenuto un lavoratore, che risulti comunque inferiore a quello indicato nella
lettera a); c) per “rapporto
di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale” quello in cui la riduzione di
orario rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all’orario normale
giornaliero di lavoro; d) per “rapporto
di lavoro a tempo parziale di tipo verticale” quello in relazione al quale
risulti previsto che l’attività lavorativa sia svolta a tempo pieno, ma
limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o
dell’anno; d-bis) per “rapporto di lavoro a tempo
parziale di tipo misto” quello che si svolge secondo una combinazione delle
due modalità indicate nelle lettere c) e d); e) per “lavoro
supplementare” quello corrispondente alle prestazioni lavorative svolte oltre
l’orario di lavoro concordato fra le parti ai sensi dell’articolo 2,
comma 2, ed entro il limite del tempo pieno». 10 L’art. 9,
nn. 1 e 4, del decreto legislativo n. 61/2000 è formulato nei
termini seguenti: «1. La
retribuzione minima oraria, da assumere quale base per il calcolo dei
contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale, si
determina rapportando alle giornate di lavoro settimanale ad orario normale
il minimale giornaliero di cui all’art. 7 del decreto legge 12 settembre
1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre
1983, n. 638, e dividendo l’importo così ottenuto per il numero delle
ore di orario normale settimanale previsto dal contratto collettivo nazionale
di categoria per i lavoratori a tempo pieno. (…) 4. Nel caso di
trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a
tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell’ammontare del
trattamento di pensione si computa per intero l’anzianità relativa ai periodi
di lavoro a tempo pieno e proporzionalmente all’orario effettivamente svolto
l’anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale». Il decreto legge 12 settembre 1983,
n. 463 11 L’art. 7
del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463, recante misure urgenti in
materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica,
disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di
taluni termini (GURI n. 250 del 12 settembre 1983), come modificato
dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, così dispose: «1. Il numero
dei contributi settimanali da accreditare ai lavoratori dipendenti nel corso
dell’anno solare, ai fini delle prestazioni pensionistiche a carico
dell’[INPS], per ogni anno solare successivo al 1983 è pari a quello delle
settimane dell’anno stesso retribuite o riconosciute in base alle norme che
disciplinano [i periodi equiparati a periodi retribuiti], sempre che risulti
erogata, dovuta o accreditata, figurativamente per ognuna di tali settimane
una retribuzione non inferiore al 30% dell’importo del trattamento minimo
mensile di pensione a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti in
vigore al 1° gennaio dell’anno considerato. A decorrere dal periodo di paga in
corso alla data del 1° gennaio 1984, il limite minimo di retribuzione
giornaliera, ivi compresa la misura minima giornaliera dei salari medi
convenzionali, per tutte le contribuzioni dovute in materia di previdenza e
assistenza sociale non può essere inferiore al 7,50% dell’importo del
trattamento minimo mensile di pensione a carico del Fondo pensioni lavoratori
dipendenti in vigore al 1° gennaio di ciascun anno. 2. In caso
contrario viene accreditato un numero di contributi settimanali pari al quoziente
arrotondato per eccesso che si ottiene dividendo la retribuzione
complessivamente corrisposta, dovuta o accreditata figurativamente nell’anno
solare, per la retribuzione di cui al comma precedente. I contributi così
determinati, ferma restando l’anzianità assicurativa, sono riferiti ad un
periodo comprendente tante settimane retribuite, e che hanno dato luogo
all’accreditamento figurativo, per quanti sono i contributi medesimi
risalendo a ritroso nel tempo, a decorrere dall’ultima settimana lavorativa o
accreditata figurativamente compresa nell’anno. 3. Le
disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano per i periodi successivi
al 31 dicembre 1983 ai fini del diritto alle prestazioni non pensionistiche,
per le quali è previsto un requisito contributivo a carico dell’[INPS]. 4. Per l’anno in
cui cade la decorrenza della pensione, il numero dei contributi settimanali
da accreditare ai lavoratori per il periodo compreso tra il primo giorno
dell’anno stesso e la data di decorrenza della pensione si determina
applicando le norme di cui ai precedenti commi limitatamente alle settimane
comprese nel periodo considerato per le quali sia stata prestata attività
lavorativa o che abbiano dato luogo all’accreditamento figurativo. Lo stesso
criterio si applica per le altre prestazioni previdenziali e assistenziali. 5. Le
disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 del presente articolo non si
applicano ai lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, agli operai
agricoli, agli apprendisti e ai periodi di servizio militare o equiparato.
(…)». Causa principale e questioni pregiudiziali
12 I convenuti
nelle cause principali fanno parte del personale di volo di cabina della
compagnia aerea Alitalia. Tali dipendenti lavorano a tempo parziale, secondo
la formula denominata «tempo parziale di tipo verticale ciclico». Si tratta
di una modalità organizzativa in base alla quale il dipendente lavora
solamente per alcune settimane o per alcuni mesi all’anno, con orario pieno o
ridotto. Essi sostengono che, a causa della natura del lavoro del personale
di cabina, il tempo parziale di tipo verticale ciclico è la sola modalità di
lavoro a tempo parziale prevista dal loro contratto collettivo. 13 Detti
dipendenti lamentano che l’INPS consideri quali periodi contributivi utili
per l’acquisizione dei diritti alla pensione solo i periodi lavorati,
escludendo i periodi non lavorati corrispondenti alla loro riduzione d’orario
rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili. Hanno quindi proposto
ricorsi dinanzi al Tribunale di Roma per contestare i conteggi individuali
dei periodi contributivi loro indirizzati dall’INPS. In tali ricorsi, i
dipendenti sostenevano, essenzialmente, che l’esclusione dei periodi non
lavorati si risolveva in una disparità di trattamento tra i lavoratori a
tempo parziale di tipo verticale ciclico e quelli che hanno optato per la
formula detta «di tipo orizzontale», i quali sarebbero posti in una
situazione più vantaggiosa per una durata di lavoro equivalente. Avendo il
detto giudice accolto i ricorsi di cui trattasi, l’INPS ha interposto appello
dinanzi alla Corte d’appello di Roma. A sostegno dell’appello, l’INPS afferma
sostanzialmente che i periodi di contribuzione pertinenti ai fini del calcolo
delle prestazioni pensionistiche sono quelli nel corso dei quali gli
appellati nelle cause principali hanno effettivamente lavorato e che hanno
comportato una retribuzione nonché il versamento di contributi, e che tale
calcolo è effettuato pro rata temporis. 14 In tale
contesto la Corte d’appello di Roma ha deciso di sospendere i procedimenti e
di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali, formulate in
termini identici nelle due cause principali: «1) Se sia
conforme alla direttiva [97/81], e segnatamente alla clausola sub 4
[dell’accordo quadro ad essa allegato] sul principio di non discriminazione,
la normativa dello Stato Italiano (il predetto art. 7 comma 1 L. 638/83)
che conduce a non considerare quale anzianità contributiva utile per l’acquisizione
della pensione, i periodi non lavorati nel part time verticale; 2) se la
predetta disciplina nazionale sia conforme alla direttiva [97/81] e
segnatamente: alla clausola sub 1 [dell’accordo quadro ad essa allegato] –
laddove è previsto che la normativa nazionale debba facilitare lo sviluppo
del lavoro a tempo parziale –; alla clausola sub 4; ed alla clausola sub 5
[del summenzionato accordo quadro] – laddove impone agli Stati Membri di
eliminare gli ostacoli di natura giuridica che limitino l’accesso al lavoro
part time – essendo indubitabile che la mancata considerazione ai fini
pensionistici delle settimane non lavorate costituisca una importante remora
alla scelta del lavoro part time – nella forma del tipo verticale –; 3) se la clausola
4 [del summenzionato accordo quadro] sul principio di
non discriminazione possa estendersi anche nell’ambito delle varie
tipologie di contratto part time, atteso che nell’ipotesi di lavoro a tempo
parziale orizzontale, a parità di un monte ore lavorato e retribuito
nell’anno solare, sulla base della legislazione nazionale, vengono
considerate utili tutte le settimane dell’anno solare, differentemente dal
part time verticale». 15 Con ordinanza
del presidente della Corte 3 dicembre 2008, le cause C‑395/08 e C‑396/08
sono state riunite ai fini della fase orale del procedimento nonché della
sentenza. Sulle questioni pregiudiziali Sulla ricevibilità 16 L’INPS ritiene
che le domande di pronuncia pregiudiziale siano irricevibili, in quanto
l’accordo quadro non è applicabile ai fatti oggetto della causa principale,
né ratione materiae né ratione temporis. 17 La Commissione
delle Comunità europee osserva che le decisioni di rinvio non forniscono
elementi precisi in merito alle situazioni di fatto e di diritto all’origine
delle cause principali e, di conseguenza, esprime a sua volta qualche dubbio
circa la ricevibilità delle domande. 18 Occorre,
anzitutto, rammentare che, nell’ambito di un procedimento ex
art. 267 TFUE, spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata
sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità
dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle
particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia
pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la
rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le
questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la
Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (v., in particolare,
sentenze 18 luglio 2007, causa C‑119/05, Lucchini,
Racc. pag. I‑6199, punto 43, e 22 dicembre 2008, causa C‑414/07,
Magoora, Racc. pag. I‑10921, punto 22). 19 Secondo
costante giurisprudenza, le questioni relative all’interpretazione del
diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e
di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, del quale non
spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di
rilevanza. Il rigetto, da parte della Corte, di una domanda di pronuncia
pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora
appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione
richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto della
causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora,
qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari
per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (v., in
tal senso, sentenza 7 giugno 2007, cause riunite da C‑222/05 a C‑225/05,
van der Weerd e a., Racc. pag. I‑4233, punto 22 e
giurisprudenza ivi citata). 20 Nel caso di
specie, le cause principali vertono sul carattere eventualmente
discriminatorio nei confronti dei lavoratori che hanno optato per un certo
tipo di lavoro a tempo parziale, nella fattispecie il tempo parziale di tipo
verticale ciclico, delle modalità di calcolo dell’anzianità contributiva
utile per acquisire il diritto alla pensione. Il giudice del rinvio si interroga
sulla compatibilità di tali modalità di calcolo con la direttiva 97/81. Nelle
sue ordinanze di rinvio, tale giudice ha spiegato le ragioni per cui a suo
giudizio le questioni sottoposte alla Corte sono pertinenti e utili alla
soluzione delle controversie di cui è stato investito. Benché tali ordinanze
non contengano una descrizione esauriente delle disposizioni pertinenti della
normativa nazionale applicabile, esse sono sufficientemente precise per
permettere alla Corte di fornire una soluzione utile alle questioni che le
vengono sottoposte. Quanto alla questione se la detta direttiva e l’accordo
quadro siano applicabili alle cause principali, essa sarà esaminata in sede
di analisi nel merito delle questioni pregiudiziali. 21 Pertanto, le
domande di pronuncia pregiudiziale devono essere dichiarate ricevibili. Nel merito 22 Con le sue tre
questioni il giudice del rinvio domanda, sostanzialmente, se le clausole 1, 4
e 5 dell’accordo quadro ostino ad una normativa come quella di cui trattasi nelle
cause principali, nei limiti in cui quest’ultima, nel caso dei lavoratori a
tempo parziale di tipo verticale ciclico, si risolve nell’escludere i periodi
non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva utile per acquisire il
diritto alla pensione, mentre i lavoratori a tempo parziale di tipo
orizzontale e quelli che esercitano la loro attività a tempo pieno non sono
soggetti ad una regola di questo tipo. 23 Occorre
preliminarmente stabilire se, ed eventualmente entro quali limiti, situazioni
come quelle di cui trattasi nelle cause principali rientrino nell’ambito di
applicazione della direttiva 97/81 e dell’accordo quadro, sia ratione
materiae sia ratione temporis. Sull’ambito di applicazione dell’accordo
quadro – Sull’ambito
di applicazione ratione materiae 24 La direttiva
97/81 e l’accordo quadro sono diretti, da un lato, a promuovere il lavoro a
tempo parziale e, dall’altro, a eliminare le discriminazioni tra i lavoratori
a tempo parziale e i lavoratori a tempo pieno (v. sentenza 24 aprile 2008,
cause riunite C‑55/07 e C‑56/07, Michaeler e a.,
Racc. pag. I‑3135, punto 21). 25 Conformemente
all’obiettivo di eliminare le discriminazioni tra lavoratori a tempo parziale
e lavoratori a tempo pieno, la clausola 4 dell’accordo quadro osta a che, per
quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale, per
il solo motivo che lavorano a tempo parziale, siano trattati in modo meno
favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili, a meno che un
trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive. 26 Occorre quindi
stabilire se le disposizioni che disciplinano il diritto alla pensione del
personale di cabina dell’Alitalia costituiscano condizioni d’impiego ai sensi
della citata clausola 4. 27 A tal riguardo,
va constatato che il Consiglio dell’Unione europea, adottando la direttiva
97/81 intesa ad attuare l’accordo quadro, si è basato sull’accordo sulla
politica sociale concluso tra gli Stati membri della Comunità europea ad
eccezione del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (GU 1992,
C 191, pag. 91), allegato al protocollo (n. 14) sulla politica
sociale allegato al Trattato che istituisce la Comunità europea (in
prosieguo: l’«accordo sulla politica sociale»), e, segnatamente, sul suo
art. 4, n. 2, il quale prevede l’attuazione degli accordi conclusi
a livello dell’Unione europea, nell’ambito dei settori contemplati dal suo
art. 2. Tali disposizioni dell’accordo sulla politica sociale sono state
riprese, rispettivamente, dagli artt. 139, n. 2, CE e
137 CE. 28 Tra le materie
cui viene fatto riferimento in tal modo figurano, all’art. 2, n. 1,
secondo trattino, dell’accordo sulla politica sociale, le «condizioni di
lavoro», disposizione ripresa dall’art. 137, n. 1, lett. b),
CE, come modificato dal Trattato di Nizza. Si deve constatare che i termini
di tale disposizione dell’accordo sulla politica sociale, come pure quelli
della clausola 4 dell’accordo quadro, non consentono, di per sè, di decidere
se le condizioni di lavoro o le condizioni d’impiego, rispettivamente
contemplate da queste due disposizioni, comprendano o meno le condizioni
attinenti ad elementi quali le retribuzioni e le pensioni di cui trattasi
nelle cause principali. Pertanto, al fine di interpretare le dette
disposizioni, si devono prendere in considerazione, conformemente ad una
costante giurisprudenza, il contesto e gli obiettivi perseguiti dalla
normativa cui appartiene tale clausola (v., per analogia, sentenza 15 aprile
2008, causa C‑268/06, Impact, Racc. pag. I‑2483,
punto 110). 29 A tal riguardo,
dal testo della clausola 1, lett. a), dell’accordo quadro risulta che
uno degli oggetti di quest’ultimo è «di assicurare la soppressione delle
discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare
la qualità del lavoro a tempo parziale». Analogamente, al suo secondo comma,
il preambolo dell’accordo quadro precisa che quest’ultimo «rappresenta la
volontà delle parti sociali di definire un quadro generale per l’eliminazione
delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e per
contribuire allo sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale, su
basi che siano accettabili sia per i datori di lavoro, sia per i lavoratori»,
obiettivo questo che viene sottolineato anche dall’undicesimo ‘considerando’
della direttiva 97/81. 30 L’accordo
quadro, ed in particolare la sua clausola 4, persegue quindi un fine che
rientra tra gli obiettivi fondamentali inscritti nell’art. 1
dell’accordo sulla politica sociale e ripresi all’art. 136, primo comma,
CE, come pure al terzo comma del preambolo del TFUE e ai punti 7 e 10, primo
comma, della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei
lavoratori, adottata alla riunione del Consiglio europeo tenutasi a
Strasburgo il 9 dicembre 1989, alla quale rinvia la summenzionata
disposizione del Trattato CE. Tali obiettivi fondamentali sono connessi
al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, nonché all’esistenza
di una tutela sociale adeguata dei lavoratori. Si tratta, più precisamente,
di migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori a tempo parziale e di
garantirne la tutela contro le discriminazioni, come attestano il terzo ed il
ventitreesimo ‘considerando’ della direttiva 97/81. 31 Del resto, va
sottolineato che l’art. 136, primo comma, CE, che definisce gli
obiettivi in vista dei quali il Consiglio può, nelle materie di cui
all’art. 137 CE, attuare, conformemente all’art. 139,
n. 2, CE, accordi conclusi tra parti sociali a livello dell’Unione,
rinvia alla carta sociale europea, firmata a Torino il 18 ottobre 1961, che,
nella parte I, punto 4, fa rientrare il diritto di tutti i lavoratori ad una
«retribuzione equa che assicuri, a loro ed alle loro famiglie, un livello di
vita soddisfacente» tra gli obiettivi che le parti contraenti si sono
impegnate a raggiungere, a tenore dell’art. 20, figurante nella parte
III di tale Carta (sentenza Impact, cit., punto 113). 32 Alla luce di
tali obiettivi, la clausola 4 dell’accordo quadro dev’essere intesa nel senso
che esprime un principio di diritto sociale dell’Unione che non può essere
interpretato in modo restrittivo (v., per analogia, sentenze 13 settembre
2007, causa C‑307/05, Del Cerro Alonso, Racc. pag. I‑7109,
punto 38, e Impact, cit., punto 114). 33 Un’interpretazione
della clausola 4 dell’accordo quadro che escludesse dalla nozione di
«condizioni d’impiego», ai sensi della stessa clausola, le condizioni
economiche, quali quelle relative alle retribuzioni e alle pensioni,
equivarrebbe a una riduzione, in spregio all’obiettivo assegnato alla detta
clausola, dell’ambito della tutela accordata ai lavoratori interessati contro
le discriminazioni, introducendo una distinzione, basata sulla natura delle
condizioni d’impiego, che il testo di tale clausola non suggerisce affatto. 34 Un’interpretazione
siffatta porterebbe, inoltre, a privare di qualsiasi utilità il riferimento
fatto dalla clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro al principio del pro
rata temporis, la cui applicabilità è concepibile per definizione solo in
presenza di prestazioni divisibili come quelle derivanti da condizioni di
impiego di tipo economico, connesse, ad esempio, alle retribuzioni e alle
pensioni (v., per analogia, sentenza Impact, cit., punto 116). 35 È vero che,
secondo il testo dell’art. 2, n. 6, dell’accordo sulla politica
sociale, ripreso dall’art. 137, n. 5, CE, come modificato dal
Trattato di Nizza, le disposizioni di questo articolo «non si applicano
alle retribuzioni, al diritto di associazione, al diritto di sciopero né al
diritto di serrata». Tuttavia, come la Corte ha già dichiarato, dal momento
che tale disposizione deroga alle norme di cui ai nn. 1-4 dello stesso
articolo, le materie per le quali il citato n. 5 introduce una riserva devono
formare oggetto di interpretazione restrittiva, in modo da non incidere
indebitamente sulla portata dei suddetti nn. 1-4, e da non rimettere in
causa gli obiettivi perseguiti dall’art. 136 CE (v. citate sentenze
Del Cerro Alonso, punto 39, e Impact, punto 122). 36 Per quanto
riguarda più in particolare l’eccezione, di cui all’art. 137, n. 5,
CE, relativa alle «retribuzioni», essa trova la sua ragion d’essere, come la
Corte ha già dichiarato, nel fatto che la determinazione del livello delle
retribuzioni rientra nell’autonomia contrattuale delle parti sociali su scala
nazionale, nonché nella competenza degli Stati membri in materia. Ciò posto,
è stato deciso, tenuto conto dello stato del diritto dell’Unione, di
escludere la determinazione del livello dei salari da un’armonizzazione sulla
base degli artt. 136 CE e seguenti (v. citate sentenze Del Cerro
Alonso, punti 40 e 46, e Impact, punto 123). 37 Tale eccezione
deve, di conseguenza, essere intesa in modo da comprendere le misure, come
l’uniformazione di tutti o parte degli elementi costitutivi dei salari e/o
del loro livello negli Stati membri o ancora l’instaurazione di un salario
minimo, che comporterebbero una diretta ingerenza del diritto dell’Unione
nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima. Essa non
può, tuttavia, essere estesa a ogni questione avente un qualsiasi nesso con
la retribuzione, pena svuotare taluni settori contemplati dall’art. 137,
n. 1, CE di gran parte dei loro contenuti (v., per analogia, sentenza
Impact, cit., punto 125). 38 Ne consegue che
la riserva prevista dall’art. 2, n. 6, dell’accordo sulla politica
sociale e ripresa dall’art. 137, n. 5, CE non osta a che la
clausola 4 dell’accordo quadro sia intesa nel senso che prescrive agli Stati
membri l’obbligo di garantire a favore dei lavoratori a tempo parziale
l’applicazione del principio di non discriminazione anche in materia di
retribuzioni, pur tenendo conto, qualora sia appropriato, del principio del
pro rata temporis. 39 Se è pur vero
che la determinazione del livello dei diversi elementi costitutivi della
retribuzione del lavoratore esula dalla competenza del legislatore
dell’Unione e continua a spettare incontestabilmente alle autorità competenti
nei vari Stati membri, resta comunque il fatto che, nell’esercizio della loro
competenza nei settori non rientranti in quella dell’Unione, tali autorità
sono tenute a rispettare il diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza
Impact, cit., punto 129), in particolare la clausola 4 dell’accordo quadro.
40 Ne consegue
che, nel determinare sia gli elementi costitutivi della retribuzione sia il
livello di tali elementi, le competenti autorità nazionali sono tenute ad
applicare ai lavoratori a tempo parziale il principio di non discriminazione
quale sancito dalla clausola 4 dell’accordo quadro. 41 Per quanto
riguarda le pensioni, occorre precisare che, conformemente alla costante
giurisprudenza della Corte in merito all’art. 119 del Trattato CE e
poi, a decorrere dal 1° maggio 1999, in merito all’art. 141 CE,
articoli relativi al principio della parità di trattamento fra uomini e donne
in materia di retribuzioni, nella nozione di «retribuzione», ai sensi
dell’art. 141, n. 2, secondo comma, CE, rientrano le pensioni che
dipendono da un rapporto di lavoro che lega il lavoratore al datore di
lavoro, ad esclusione di quelle derivanti da un sistema legale al cui
finanziamento contribuiscono i lavoratori, i datori di lavoro e,
eventualmente, i pubblici poteri in una misura meno dipendente da un rapporto
di lavoro siffatto che da considerazioni di politica sociale (v., in
particolare, sentenze 25 maggio 1971, causa 80/70, Defrenne,
Racc. pag. 445, punti 7 e 8; 13 maggio 1986,
causa 170/84, Bilka-Kaufhaus, Racc. pag. 1607, punti 16-22; 17
maggio 1990, causa C‑262/88, Barber, Racc. pag. I‑1889,
punti 22‑28, nonché 23 ottobre 2003, cause riunite C‑4/02 e C‑5/02,
Schönheit e Becker, Racc. pag. I‑12575, punti 56‑64). 42 Tenuto conto di
tale giurisprudenza, si deve ritenere che rientrino nella nozione di
«condizioni di impiego», ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo
quadro, le pensioni che dipendono da un rapporto di lavoro tra lavoratore e
datore di lavoro, ad esclusione delle pensioni legali di previdenza sociale,
meno dipendenti da un rapporto siffatto che da considerazioni di ordine
sociale (v., per analogia, sentenza Impact, cit., punto 132). 43 Tale
interpretazione risulta confermata dall’indicazione figurante al terzo comma
del preambolo dell’accordo quadro, a norma della quale le parti di
quest’ultimo «riconosc[ono] che le questioni relative ai regimi legali di
sicurezza sociale rinviano alle decisioni degli Stati membri» e ritengono che
debba essere resa operativa la loro dichiarazione sull’occupazione adottata
al Consiglio europeo di Dublino del 1996, la quale sottolineava fra l’altro
la necessità di adattare i sistemi di protezione sociale ai nuovi modelli di
lavoro allo scopo di offrire una tutela sociale appropriata alle persone
assunte nel quadro di queste nuove forme di lavoro. 44 Tale
interpretazione è altresì confortata dal fatto che l’accordo quadro, essendo
stato concluso dalle parti sociali rappresentate da organizzazioni
interprofessionali, non intende né regolare le questioni relative alla
previdenza sociale né imporre obblighi agli enti nazionali di previdenza
sociale, i quali non sono parti di tale accordo (v., per analogia, sentenza
16 luglio 2009, causa C‑537/07, Gómez-Limón Sánchez-Camacho, non ancora
pubblicata nella Raccolta, punti 48‑50). 45 Accertato che
la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro è applicabile alle pensioni
che dipendono da una relazione d’impiego tra lavoratore e datore di lavoro,
ad esclusione delle pensioni legali di previdenza sociale, occorre ancora
determinare se il regime pensionistico di cui trattasi nelle cause principali
rientri nell’una o nell’altra categoria. A tal fine si devono applicare, per
analogia, i criteri elaborati dalla giurisprudenza per valutare se una
pensione rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 141 CE. 46 A tal proposito
occorre ricordare che soltanto il criterio relativo alla constatazione che la
pensione è corrisposta al lavoratore a causa del rapporto di lavoro che lo
lega al suo ex datore di lavoro, vale a dire il criterio dell’impiego,
desunto dalla lettera stessa dell’art. 141 CE, può avere carattere
determinante. A detto criterio non si può, però, attribuire carattere
esclusivo, dato che anche le pensioni corrisposte dai regimi previdenziali
legali possono, in tutto o in parte, tener conto della retribuzione
dell’attività lavorativa. Ebbene, siffatte pensioni non costituiscono
retribuzioni ai sensi dell’art. 141 CE (v. sentenza Schönheit e
Becker, cit., punti 56 e 57 nonché giurisprudenza ivi citata). 47 Tuttavia, le
considerazioni di politica sociale, di organizzazione dello Stato, di etica,
o anche le preoccupazioni di bilancio che hanno avuto o possono aver avuto un
ruolo nella determinazione di un regime da parte del legislatore nazionale
non possono considerarsi prevalenti se la pensione interessa soltanto una
categoria particolare di lavoratori, se è direttamente proporzionale agli
anni di servizio prestati e se il suo importo è calcolato in base all’ultima
retribuzione (v. sentenza Schönheit e Becker, cit., punto 58 e la giurisprudenza
citata). 48 Al fine di
determinare se una pensione versata in forza di un regime quale quello
applicabile al personale di cabina dell’Alitalia rientri nell’ambito di
applicazione dell’accordo quadro, occorre pertanto esaminare se questa
pensione soddisfi i tre criteri menzionati al punto precedente. Spetta al
giudice nazionale, che è il solo competente a valutare i fatti della
controversia principale e ad interpretare il diritto nazionale applicabile,
accertare se queste condizioni siano soddisfatte. 49 Tuttavia la
Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può, ove necessario,
fornire precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua
interpretazione (v., in particolare, sentenza 23 novembre 2006, causa C‑238/05,
Asnef-Equifax e Administración del Estado, Racc. pag. I‑11125,
punto 40 e giurisprudenza ivi citata). 50 Il fatto che il
regime pensionistico del personale di cabina dell’Alitalia sia amministrato
da un ente pubblico, quale l’INPS, che, peraltro, gestisce, in forza di
disposizioni di legge, il sistema di previdenza sociale italiano, non è
determinante per valutare se tale regime pensionistico rientri nel regime
legale di previdenza sociale o, al contrario, nelle condizioni di
retribuzione (v., in particolare, in tal senso, sentenza 1° aprile 2008,
causa C‑267/06, Maruko, Racc. pag. I‑1757,
punto 57). 51 Parimenti, non
è un criterio determinante la natura – pubblica o privata – dell’azionariato
dell’Alitalia, dato che la giurisprudenza ha già riconosciuto che, se le tre
condizioni enunciate al punto 47 della presente sentenza sono soddisfatte, la
pensione corrisposta dal datore di lavoro pubblico ad un pubblico dipendente
è in tal caso del tutto simile a quella che verserebbe un datore di lavoro
privato ai suoi ex dipendenti (v. sentenza Schönheit e Becker, cit.,
punto 58). – Sull’ambito
di applicazione ratione temporis 52 L’INPS
sostiene, essenzialmente, che l’accordo quadro può essere applicato solo ai
periodi d’impiego successivi all’entrata in vigore della misura nazionale che
opera la trasposizione della direttiva 97/81, vale a dire il decreto
legislativo n. 61/2000. Ebbene, per quanto concerne le
sig.re Bruno, Lotti e Matteucci, il calcolo dell’anzianità contributiva
necessaria per acquisire il diritto alla pensione fa riferimento, in tutto o
in parte, a periodi anteriori alla scadenza del termine di trasposizione di
tale direttiva, i quali, di conseguenza, non rientrerebbero nell’ambito di
applicazione dell’accordo quadro. 53 A tal riguardo
occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, una nuova norma
si applica, salvo deroghe, immediatamente agli effetti futuri delle
situazioni sorte sotto l’impero della vecchia legge (v., in tal senso, in
particolare, sentenze 14 aprile 1970, causa 68/69, Brock,
Racc. pag. 171, punto 7; 10 luglio 1986, causa 270/84,
Licata/CES, Racc. pag. 2305, punto 31; 18 aprile 2002, causa C‑290/00,
Duchon, Racc. pag. I‑3567, punto 21; 11 dicembre 2008,
causa C‑334/07 P, Commissione/Freistaat Sachsen,
Racc. pag. I‑9465, punto 43, nonché 22 dicembre 2008,
causa C‑443/07 P, Centeno Mediavilla e a./Commissione,
Racc. pag. I‑10945, punto 61). 54 Come l’avvocato
generale ha rilevato al paragrafo 39 delle sue conclusioni, né la direttiva
97/81 né l’accordo quadro derogano al principio ricordato al punto
precedente. 55 Pertanto, il
calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto ad
una pensione come quelle di cui trattasi nelle cause principali è
disciplinato dalle disposizioni della direttiva 97/81, anche per quanto
riguarda i periodi di attività precedenti la data di entrata in vigore di
quest’ultima. Sulla prima questione 56 Con la sua
prima questione, il giudice del rinvio domanda, sostanzialmente, se la
clausola 4 dell’accordo quadro, sul principio di non discriminazione, debba
essere interpretata nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro,
come quella di cui trattasi nelle cause principali, la quale, nel caso di
lavoro a tempo parziale di tipo verticale ciclico, ha l’effetto di escludere
i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per
acquisire il diritto alla pensione. 57 La clausola 4,
punto 1, dell’accordo quadro prevede che, per quanto attiene alle condizioni
di impiego, i lavoratori a tempo parziale non debbano essere trattati in modo
meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo
motivo che lavorano a tempo parziale, a meno che un trattamento differente
sia giustificato da ragioni obiettive. 58 Il divieto di
discriminazione sancito da tale disposizione altro non è che l’espressione
specifica del principio generale di uguaglianza, che rappresenta uno dei
principi fondamentali del diritto dell’Unione (v. sentenza 12 ottobre 2004,
causa C‑313/02, Wippel, Racc. pag. I‑9483,
punti 54 e 56). 59 Occorre
pertanto esaminare se il fatto di escludere dal calcolo dell’anzianità
contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione i periodi non
lavorati dei lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, per il
solo motivo che questi ultimi lavorano a tempo parziale, porti a trattarli in
modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno che si trovano in
una situazione comparabile. 60 A tal riguardo,
la clausola 3 di tale accordo quadro fornisce i criteri di definizione del
«lavoratore a tempo pieno comparabile». Quest’ultimo viene definito, al punto
2, primo comma, di tale clausola, come «il lavoratore a tempo pieno dello
stesso stabilimento, che ha lo stesso tipo di contratto o di rapporto di
lavoro e un lavoro/occupazione identico o simile, tenendo conto di altre
considerazioni che possono includere l’anzianità e le qualifiche/competenze».
Secondo il punto 2, secondo comma, di questa stessa clausola, qualora
non esistesse nessun lavoratore a tempo pieno comparabile nello stesso
stabilimento, «il paragone si effettuerebbe con riferimento al contratto
collettivo applicabile o, in assenza di contratto collettivo applicabile,
conformemente alla legge, ai contratti collettivi o alle prassi nazionali». 61 Per un
lavoratore a tempo pieno, il periodo di tempo preso in considerazione per il
calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla
pensione coincide con quello del rapporto di lavoro. Per contro, per i
lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, l’anzianità non viene
conteggiata sulla stessa base, poiché essa è calcolata sulla sola durata dei
periodi effettivamente lavorati tenuto conto della riduzione degli orari di
lavoro. 62 In questo modo,
un lavoratore a tempo pieno beneficia, per un periodo d’impiego di dodici
mesi consecutivi, di un anno di anzianità ai fini della determinazione della
data in cui può rivendicare il diritto alla pensione. Per contro, ad un
lavoratore in una situazione comparabile che abbia optato, secondo la formula
del tempo parziale di tipo verticale ciclico, per una riduzione del 25% del
suo orario di lavoro, sarà accreditata, per lo stesso periodo, un’anzianità
pari al 75% soltanto di quella del suo collega che lavora a tempo pieno, e
questo per il solo motivo che egli lavora a tempo parziale. Ne consegue che,
sebbene i loro contratti di lavoro abbiano una durata effettiva equivalente,
il lavoratore a tempo parziale matura l’anzianità contributiva utile ai fini
della pensione con un ritmo più lento del lavoratore a tempo pieno. Si
tratta quindi di una differenza di trattamento basata sul solo motivo del
lavoro a tempo parziale. 63 Sia l’INPS che
il governo italiano allegano, sostanzialmente, che detta differenza non
integra una disparità di trattamento in quanto i lavoratori a tempo pieno e
quelli a tempo parziale di tipo verticale ciclico non sono in situazioni
comparabili. Ritengono infatti che i lavoratori rientranti in ciascuna di
queste categorie acquisiscano rispettivamente solo l’anzianità corrispondente
ai periodi effettivamente lavorati. Sottolineano, in particolare, che i
datori di lavoro versano i contributi previdenziali unicamente sui periodi
lavorati e che, quanto ai periodi non lavorati, il diritto italiano riconosce
a tutti i lavoratori a tempo parziale la possibilità di riscattare crediti di
anzianità su base facoltativa. 64 Occorre
tuttavia rammentare che il principio di non discriminazione tra i lavoratori
a tempo parziale e i lavoratori a tempo pieno si applica alle condizioni
d’impiego, tra cui figura la retribuzione, nozione che, come esposto ai punti
42‑46 della presente sentenza, comprende anche le pensioni, ad
esclusione di quelle che rientrano nel regime di previdenza sociale. Di
conseguenza, la retribuzione dei lavoratori a tempo parziale dev’essere
equivalente a quella dei lavoratori a tempo pieno, fatta salva l’applicazione
del principio del pro rata temporis enunciato dalla clausola 4, punto 2,
dell’accordo quadro. 65 Pertanto, il
calcolo dell’importo della pensione dipende direttamente dalla quantità di
lavoro effettuata dal lavoratore e dai contributi corrispondenti, secondo il
principio del pro rata temporis. Va ricordato, a tal riguardo, che la Corte
ha già avuto occasione di dichiarare che il diritto dell’Unione non osta al
calcolo di una pensione effettuato secondo la regola del pro rata temporis in
caso di lavoro ad orario ridotto. Infatti, la considerazione della quantità
di lavoro effettivamente svolta da un lavoratore a tempo parziale durante la
sua carriera, paragonata a quella di un lavoratore che abbia svolto durante
tutta la sua carriera la propria attività a tempo pieno, costituisce un
criterio obiettivo che consente una riduzione proporzionata delle sue
spettanze pensionistiche (v., in tal senso, citate sentenze Schönheit e
Becker, punti 90 e 91, nonché Gómez-Limón Sánchez-Camacho, punto 59). 66 Per contro, il
principio del pro rata temporis non è applicabile alla determinazione della
data di acquisizione del diritto alla pensione, in quanto questa dipende
esclusivamente dall’anzianità contributiva maturata dal lavoratore. Questa
anzianità corrisponde, infatti, alla durata effettiva del rapporto di lavoro
e non alla quantità di lavoro fornita nel corso della relazione stessa. Il
principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori
a tempo pieno implica quindi che l’anzianità contributiva utile ai fini della
determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia
calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un
posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i
periodi non lavorati. 67 La differenza
di trattamento constatata ai punti 61 e 62 della presente sentenza è
ulteriormente accentuata dal fatto che, come risulta dal dibattimento dinanzi
alla Corte, il lavoro a tempo parziale di tipo verticale ciclico è la sola
modalità di lavoro a tempo parziale offerta al personale di cabina dell’Alitalia
in forza del contratto collettivo ad esso applicabile. 68 Ne consegue che
una normativa come quella di cui trattasi nella causa principale tratta i
lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico in modo meno favorevole
dei lavoratori a tempo pieno comparabili, e ciò per il solo motivo che
lavorano a tempo parziale. 69 Dalla clausola
4, punto 1, dell’accordo quadro risulta tuttavia che una siffatta
differenza di trattamento può essere ritenuta conforme al principio di non
discriminazione se è giustificata da ragioni obiettive. 70 Invitati a
chiarire le ragioni che consentono di giustificare detta differenza di
trattamento, l’INPS e il governo italiano hanno dichiarato, all’udienza, che
il contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale ciclico viene
considerato, nel diritto italiano, come sospeso durante i periodi non
lavorati, in quanto durante questi ultimi non viene pagata alcuna
retribuzione né vengono versati contributi. 71 Si deve, in
primo luogo, rilevare che tale giustificazione è, a prima vista,
difficilmente compatibile con il fatto che i fascicoli trasmessi alla Corte e
il dibattimento dinanzi a quest’ultima hanno dimostrato che, nel caso degli
impiegati pubblici, il diritto italiano prevede espressamente,
all’art. 8 della legge 29 dicembre 1988, n. 554, recante
disposizioni in materia di pubblico impiego (GURI n. 1 del 2 gennaio
1989), che, «ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione a carico
dell’amministrazione interessata (…), gli anni di servizio ad orario ridotto
sono da considerarsi utili per intero». Già tale differenza di regime
consente di dubitare della pertinenza della giustificazione invocata
dall’INPS e dal governo italiano. 72 In secondo
luogo, si deve rammentare che, ai sensi della clausola 3 dell’accordo quadro,
il lavoratore a tempo parziale si definisce per il solo fatto che la durata
normale di lavoro che egli compie è inferiore a quella di un lavoratore a
tempo pieno comparabile. Pertanto, il lavoro a tempo parziale costituisce un
modo particolare di esecuzione del rapporto di lavoro, caratterizzato dalla
mera riduzione della durata normale del lavoro. Tale caratteristica non può,
tuttavia, essere equiparata alle ipotesi in cui l’esecuzione del contratto di
lavoro, a tempo pieno o a tempo parziale, è sospesa a causa di un impedimento
o di un’interruzione temporanea dovuta al lavoratore, all’impresa o ad una
causa estranea. Infatti, i periodi non lavorati, che corrispondono alla
riduzione degli orari di lavoro prevista in un contratto di lavoro a tempo
parziale, discendono dalla normale esecuzione di tale contratto e non dalla
sua sospensione. Il lavoro a tempo parziale non implica un’interruzione
dell’impiego (v., per analogia con l’impiego a tempo frazionato, sentenza 17
giugno 1998, causa C‑243/95, Hill e Stapleton, Racc. pag. I‑3739,
punto 32). 73 Di conseguenza,
sempre che l’argomentazione dell’INPS e del governo italiano possa essere
intesa come diretta ad affermare che la differenza di trattamento di cui
trattasi nella causa principale è giustificata dal fatto che i periodi
corrispondenti alla riduzione degli orari di un contratto di lavoro a tempo
parziale hanno l’effetto di sospenderne l’esecuzione, una siffatta
argomentazione confligge con la definizione del tempo parziale che figura
alla clausola 3 dell’accordo quadro e finisce con il privare di effetto
utile il principio, enunciato dalla clausola 4, punto 1, di tale accordo
quadro, che vieta, per quanto attiene alle condizioni di impiego, che i
lavoratori a tempo parziale siano trattati in modo meno favorevole rispetto
ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a
tempo parziale. 74 Supponendo poi
che detta argomentazione sia da intendere nel senso che essa è diretta a
dimostrare che la differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo parziale
di tipo verticale ciclico e i lavoratori a tempo pieno è giustificata da
ragioni attinenti al diritto nazionale, va ricordato che compete al giudice
del rinvio dare a una disposizione di diritto interno un’interpretazione ed
un’applicazione conformi alle prescrizioni del diritto dell’Unione,
avvalendosi per intero del margine di discrezionalità consentitogli dal suo
ordinamento nazionale, e, se una siffatta interpretazione conforme non è possibile,
disapplicare ogni disposizione del diritto interno che sia contraria a tali
prescrizioni (v. sentenza 18 dicembre 2007, causa C‑357/06, Frigerio
Luigi & C., Racc. pag. I‑12311, punto 28). 75 Dall’insieme
delle considerazioni che precedono risulta che si deve risolvere la prima
questione dichiarando che la clausola 4 dell’accordo quadro dev’essere
interpretata, con riferimento alle pensioni, nel senso che osta ad una
normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo
verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità
contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una
tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive. Sulla seconda questione 76 Con la sua
seconda questione, il giudice del rinvio domanda, sostanzialmente, se le
clausole 1 e 5, n. 1, dell’accordo quadro debbano essere interpretate
nel senso che ostano ad una normativa nazionale come quella di cui trattasi
nelle cause principali, che costituisce per i lavoratori un’importante remora
alla scelta del lavoro a tempo parziale di tipo verticale ciclico. 77 Dalla clausola
1 dell’accordo quadro risulta, in particolare, che esso persegue una duplice
finalità consistente, da un lato, nel promuovere il lavoro a tempo parziale
e, dall’altro lato, nell’eliminare le discriminazioni tra i lavoratori a
tempo parziale e i lavoratori a tempo pieno (v. sentenza Michaeler e a.,
cit., punto 22). 78 La clausola 5,
punto 1, lett. a), dell’accordo quadro prevede, in linea con questa
duplice finalità, l’obbligo per gli Stati membri di «identificare ed
esaminare gli ostacoli di natura giuridica o amministrativa che possono
limitare le possibilità di lavoro a tempo parziale e, se del caso,
eliminarli». 79 Orbene, la
normativa di cui trattasi nelle cause principali, nei limiti in cui riguarda
pensioni che dipendono dal rapporto di lavoro, ad esclusione di quelle che
discendono da un regime legale di previdenza sociale, escludendo dal calcolo
dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione
i periodi non lavorati, instaura una disparità di trattamento tra lavoratori
a tempo parziale di tipo verticale ciclico e lavoratori a tempo pieno e, pertanto,
viola il principio di non discriminazione enunciato dalla clausola 4
dell’accordo quadro. Inoltre, come è stato rilevato al punto 67 della
presente sentenza, tale disparità di trattamento viene accentuata dal fatto
che il tempo parziale di tipo verticale ciclico è la sola modalità di lavoro
a tempo parziale offerta al personale di cabina dell’Alitalia. 80 La combinazione
di tali elementi tende a rendere meno interessante il ricorso al lavoro a
tempo parziale per questa categoria di lavoratori, se non anche a dissuaderli
dall’esercitare la loro attività lavorativa secondo una tale modalità, in
quanto una siffatta scelta porta a differire nel tempo la data di
acquisizione del loro diritto alla pensione in una proporzione uguale a
quella della riduzione del loro orario di lavoro rispetto a quello di
lavoratori a tempo pieno comparabili. Questi effetti sono manifestamente in
contrasto con l’obiettivo dell’accordo quadro, che consiste nell’agevolare lo
sviluppo del lavoro a tempo parziale. 81 Occorre quindi
risolvere la seconda questione nel senso che, nell’ipotesi in cui il giudice
del rinvio giunga a concludere che la normativa nazionale di cui trattasi
nelle cause principali è incompatibile con la clausola 4 dell’accordo quadro,
le clausole 1 e 5, n. 1, di quest’ultimo dovrebbero essere interpretate
nel senso che ostano anch’esse ad una siffatta normativa. Sulla terza questione 82 Con la sua
terza questione, il giudice del rinvio domanda, sostanzialmente, se la
clausola 4 dell’accordo quadro relativa al principio di non discriminazione
debba essere interpretata nel senso che vieta, oltre alle discriminazioni tra
lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno comparabili, anche le
discriminazioni tra diverse forme di lavoro a tempo parziale, quali il lavoro
a tempo parziale di tipo verticale ciclico e il lavoro a tempo parziale di
tipo orizzontale. 83 Alla luce delle
soluzioni fornite alle due precedenti questioni, non occorre pronunciarsi su
tale questione. Sulle spese 84 Nei confronti
delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire
sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione)
dichiara: 1) La
clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla
direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, relativa all’accordo
quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e
dalla CES, dev’essere interpretata, con riferimento alle pensioni, nel
senso che osta a una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo
parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal
calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla
pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da
ragioni obiettive. 2) Nell’ipotesi
in cui il giudice del rinvio giunga a concludere che la normativa nazionale
di cui trattasi nelle cause principali è incompatibile con la clausola 4
dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva
97/81, le clausole 1 e 5, n. 1, di quest’ultimo dovrebbero essere
interpretate nel senso che ostano anch’esse ad una siffatta normativa. Firme |
Direzione Provinciale del Lavoro di Modena - www.dplmodena.it